A cura della Redazione

La legge sul taglio dei parlamentari - oggetto del referendum confermativo di domenica e lunedì - è stata approvata in ultima lettura dalla Camera l'8 ottobre 2019 con 553 voti a favore, 14 no e due astenuti. Prevede la riduzione del numero dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200).

In pratica viene data una sforbiciata ai seggi pari al 36,5 per cento degli attuali. I posti per i candidati all'estero scendono da 18 a 12, i senatori a vita potranno essere al massimo cinque. La soglia minima di senatori per ciascuna regione si abbassa da sette a 3. La riforma entrerebbe in vigore a partire dalle prossime elezioni politiche.

La legge costituzionale è soggetta a referendum perché in una delle due ultime letture (quella al Senato) non è stata approvata con la necessaria maggioranza dei due terzi dei componenti. Settantuno senatori - appartenenti a quasi tutti i gruppi parlamentari - hanno così potuto chiedere e ottenere, come previsto dalla Carta, il referendum. Che non prevede un quorum di partecipanti per essere valido. La spunterà insomma chi avrà un voto in più. Chi vuole approvare il taglio deve votare Sì, chi intende bocciarlo deve scegliere il No.

Perché votare Sì

I sostenitori della riforma costituzionale espongono una serie di ragioni che vanno dalla riduzione dei costi della politica (500 milioni a legislatura la stima dei 5 Stelle) alla considerazione che un parlamento più snello sarà anche più efficiente e funzionale. I comitati per il Sì fanno notare che un numero di 600 parlamentari è in linea con quello delle altre maggiori democrazie europee. L'attuale consistenza parlamentare, è la tesi dei favorevoli alla riforma, è anche anacronistica: venne stabilita nel 1963 quando ancora non c'erano 800 consiglieri regionali e il parlamento europeo eletto direttamente. Ridurre il numero degli eletti, secondo i fautori del Sì, rende più trasparente e comprensibile la vita politica. Questo perché, con un numero minore e più controllabile di rappresentanti, dovrebbe essere più agevole il giudizio dei cittadini nei loro confronti. Chi chiede appoggio alla posizione del Sì ritiene che questa legge sia il primo passo verso una non rinviabile stagione delle riforme: a partire da quella elettorale.

Perché votare No

Il taglio dei seggi aumenterebbe il numero di abitanti per ogni parlamentare: come conseguenza, crescerebbe la distanza tra la popolazione e i suoi rappresentanti. I sostenitori del No ravvisano anche un pericolo per la democrazia riguardo alla rappresentanza territoriale, dal momento che sarebbe ridotto il numero di senatori eleggibili nelle regioni. Alcune di esse, come l'Umbria e la Basilicata, subirebbero un taglio del 57 per cento dei seggi. Il rischio paventato è che in alcune regioni potrebbero essere eletti  rappresentanti di una sola coalizione. Si temono maggioranze "blindate" in Parlamento. Meno deputati e senatori significa maggior potere ai leader dei partiti e minore possibilità di confronto (e di dissenso) dentro i gruppi parlamentari che saranno più piccoli. Chi vota No sostiene che un taglio del solo numero dei parlamentari, non accompagnato da riforme e dalla modifica dei regolamenti, non faccia altro che paralizzare l'attività del parlamento e che la produttività di ciascun deputato o senatore sarà minata dal fatto che il lavoro in commissione sarà distribuito su meno persone. Il fronte del No bolla la riforma come demagogica e populista, e l'accusa di far leva sul sentimento di antipolitica diffuso tra la gente. Perplessità sul risparmio: "Lo 0,007 per cento della spesa pubblica".

Come sono schierati i partiti

M5S vota Sì

I grillini sono i principali sostenitori della riforma. L'ex capo politico Di Maio ha girato l'Italia invitando al Sì. Fra le principali argomentazioni lo stop agli sprechi e il vantaggio economico. Anche tra i 5Stelle c'è comunque una piccola fronda di parlamentari per il No (tra loro Mara LapiaAndrea Colletti, Elisa Siragusa Andrea Vallascas).

Il Pd vota Sì

È la linea della direzione nazionale. Zingaretti la porta avanti dopo avere ottenuto garanzie sul fatto che gli alleati sostengano altre leggi "correttive". Ma molti esponenti del partito, a partire da pionieri come Prodi e VeltroniArturo Parisi, Rosy Bindi - oltre a parlamentari in carica quali Laura Boldrini e Matteo Orfini - si sono schierati per il No.

La Lega vota Sì

Salvini ha dichiarato questa posizione per "coerenza" rispetto ai voti espressi in aula ma ha aggiunto che "non caverà gli occhi" a chi si esprimerà in modo contrario. Nomi di peso come Giancarlo GiorgettiClaudio BorghiGian Marco Centinaio sono per il No.

Fi: libertà di coscienza

Silvio Berlusconi non ha espresso una posizione ufficiale ma ha duramente criticato la riforma. La maggior parte degli esponenti di Fi sono per il No. Il primo a rompere il fronte è stato Renato Brunetta. E tra i promotori del referendum, c'è il forzista Andrea Cangini.

Fratelli d'Italia vota Sì

Giorgia Meloni si è detta consapevole che "un eventuale successo del No potrebbe mettere in difficoltà la maggioranza" ma Fratelli d'Italia, nel centrodestra, è il partito che ha fatto registrare meno crepe sul fronte del Sì (Guido Crosetto è un'eccezione).

Italia Viva: libertà di coscienza

Matteo Renzi ha accolto in modo a dir poco tiepido la riforma, dicendo che è "un tributo alla demagogia: senza il monocameralismo non cambia nulla" (tra i No espliciti quelli di Luigi Marattin e di Roberto Giachetti).

+Europa e Azione votano No

Sia Emma Bonino che Carlo Calenda hanno fatto sentire la loro voce contro il taglio. Per la leader radicale è una "mutilazione della costituzione", per l'ex ministro la "vera casta è di chi arriva in parlamento senza competenza".

Si vota domenica 20 settembre dalle ore 7,00 alle ore 23,00 e lunedì 21 settembre dalle ore 7,00 alle 15,00.