A cura della Redazione

Continua l'appuntamenti con l'avvocato Felice Cacace, oggi novantenne, con le "Piccole storie" . Nell'articolo di oggi ci parla dei trasporti nel periodo bellico e post bellico.

Negli anni ’40 la mobilità sia delle persone che di merci e derrate, per quanto riguarda le prime, si basava principalmente sul trasporto ferroviario. In particolare c’era la linea Napoli – Reggio Calabria che, fra altro, serviva alcuni paesi della fascia costiera da Salerno fino a Napoli. C’era poi una tratta secondaria che da Napoli portava a Castellammare e Gragnano. Più importante e con maggiori frequenze orarie era la Circumvesuviana (all’epoca detta anche “la ridotta”) a ragione dello scartamento – distanza fra i binari – inferiore rispetto a quello delle ferrovie dello stato.

Il servizio operava su diverse linee: Napoli – Torre Annunziata - Poggiomarino; Napoli – Torre Annunziata – Castellammare; Napoli – Poggiomarino lungo il lato Nord del Vesuvio; Napoli – Nola – Baiano. Questi erano i trasporti più frequentati per le persone. Sempre per le persone, operavano all’interno delle varie città compresa Napoli, le “carrozzelle” trainate da cavalli; veicoli di cui si è quasi completamente persa traccia. All’interno della città di Napoli operavano anche tram, autobus e filobus.

 Per quanto riguarda gli spostamenti di merci, derrate o oggetti di dimensioni o pesi rilevanti una parte della mobilità veniva assorbita dai carri merci delle ferrovie dello stato, ma gran parte, particolarmente per le piccole distanze, si svolgeva con mezzi di dimensioni anche molto grandi, a trazione animale. Pochi erano gli autocarri e pochissime le automobili.

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1943) insieme a tante altre critiche conseguenze, la situazione trasporti andò lentamente a deteriorarsi: la penuria di carburanti ed il loro successivo razionamento mise in difficoltà i trasporti a motori. La scarsità di energia elettrica, dovuta ai danni riportati dalle centrali a seguito dei bombardamenti e i danni riportati per lo stesso motivo dalle linee ferroviarie, fecero si che il trasporto su rotaie diventò man mano più difficoltoso, fino a scomparire quasi del tutto nella seconda parte del 1943 e agli inizi del 1944. Fu allora che, ancora una volta, prevalse, a tutti i livelli della società, la volontà di ripresa anche in questi campi: capacità di imprese, coraggio nell’affrontare i rischi; spirito di sacrificio a tutti i livelli della società; inventiva, riuscirono a sopperire alle necessità quotidiane di mobilità (operai che lavoravano in posti lontani dalle loro residenze; contadini che trasportavano prodotti della terra dalle campagne alle città; rifornimenti di derrate alimentari; necessità di recarsi nel capoluogo per ragioni sanitarie o di commercio).

Proprietari di grossi carretti trainati da uno o più cavalli attrezzarono i carri in maniera rudimentale con panche e precarie coperture effettuando il trasporto di persone. Si pensi che per arrivare fino a Napoli, questi mezzi impiegavano circa quattro ore. Ci furono alcuni che andando a pescare negli “scassi” tirarono fuori dei rimorchi di autotreni, li attrezzarono in modo da attaccarvi dei cavalli, vi misero delle panche e li adibirono al trasporto di persone. A Napoli, data la paralisi completa del trasporto pubblico interno operarono per alcuni anni le “camionette”, veicoli a motori di medie dimensioni, alcuni recuperati dalle discariche dove le truppe americane avevano abbandonato enormi quantità di materiali. Anche in queste camionette furono sistemate delle panche, ma spesso erano così piene che bisognava starci in piedi. Naturalmente non avevano linee fisse ne orari, per cui acchiapparne una che fosse poi quella giusta per andare in un determinato luogo, era un vero e proprio colpo di fortuna. Ricordo che nel 1945, per andare all’ospedale Pascale a Napoli, dove era ricoverato mio padre, riuscì ad arrivarci dopo aver cambiato due o tre camionette, ma per il ritorno, dopo aver atteso per circa 1 ora, dovetti farmela a piedi fino alla stazione della Circumvesuviana.

Quest’ultima ferrovia, dopo mesi di paralisi completa, cominciò a funzionare a singhiozzo. Di fatto data la scarsità di energia elettrica capitava che un treno partisse dal capolinea, diciamo con cinque vetture. Dopo un po’, a causa della mancanza di potenza, era costretto a staccare una vettura, per cui i passeggeri di quella erano costretti a salire sulle altre vetture, così di seguito poteva capitare che, alla fine del percorso, arrivassero soltanto una o due vettura stracariche di passeggeri che, pressati l’uno con gli altri, a volte viaggiavano in piedi sui sedili.

Eppure, con tutti questi disagi, chi lavorava in fabbrica, in qualche modo la raggiungeva; i professori, che in gran parte venivano da Napoli, riuscivano a raggiungere le scuole. Alunni che venivano da Boscotrecase, Boscoreale, Trecase, paesi in cui c’erano solo le scuole elementari, venivano a piedi. E fu grazie a tutti questi sacrifici, all’inventiva, al senso del dovere che l’Italia si riprese, fino a raggiungere il così detto “miracolo economico”. Miracolo non fu, ma forza di volontà e voglia di vivere e di migliorare.

Non posso fare a meno di paragonare quei tempi alla crisi attuale e alla diversità dei comportamenti umani. E’ vero che la nostra salute e addirittura la nostra vita sono in pericolo. E’ altrettanto vero che alla crisi sanitaria segue anche la crisi economica, ma purtroppo vedo che soltanto poche categorie di persone si addossano il fardello dei disagi e dei pericoli, mentre la maggioranza riesce soltanto a piangere e commiserarsi attendendo e pretendendo sempre aiuti dall’alto o approfittando della situazione per sottrarsi ai propri doveri. E così, ho paura che la barca invece di raddrizzare il timone, lentamente affondi.

(Foto Napoliflash24)