A cura della Redazione

Uno dei tormentoni di questo periodo così nero è anche l’eterna diatriba fra i due pretendenti alla presidenza degli Sati Uniti d’America. Altro argomento che spesso affiora a margine della nostra crisi economica è il richiamo a un altro importantissimo evento dell’immediato dopo guerra:il piano Marshall”.

Mi sia consentito di fare alcune considerazioni su quello che è stato e può essere il rapporto tra noi e gli USA e quali possano essere i nostri sentimenti (di noi italiani) nei confronti di quella nazione.

Come è noto gli Stati Uniti nel 1941 furono trascinati in guerra dal proditorio attacco del Giappone. Di conseguenza, lo stato di guerra si estese anche nei confronti della Germania e dell’Italia, all’epoca alleati del Giappone. Non voglio rivangare le vicende belliche, lunghe, disastrose e sanguinarie, voglio ripartire dal 1943, anno nel quale gli alleati sbarcarono in Sicilia ed iniziarono la loro “liberazione” dell’Italia, passando nelle nostre zone nel mese di settembre del ‘43 e concludendo la completa occupazione dell’Italia (e la guerra) nell’Aprile del 1945.

Tutta questa operazione fu eseguita principalmente da truppe americane, affiancate da inglesi, australiani e in misura minore, da altre nazioni, ma la parte più importante o, quanto meno, la più evidente, fu eseguita dalle truppe americane.

La storia ci insegna che da quando esistono le guerre, ogni volta che un esercito ha occupato un paese si è dato a devastazioni, violenze, espoliazione di ogni genere. Ebbene, credo che per la prima volta un popolo vinto, occupato (non dimentichiamo che noi eravamo in guerra contro l’America, quindi loro nemici) sia stato aiutato e soccorso dall’esercito vincitore. Quanti eserciti (troppi) che, nei secoli, passarono attraverso l’Italia, pretesero riscatti, pretesero di essere mantenuti con le risorse dei paesi occupati!

Senza andare troppo lontano, anche gli eserciti di Napoleone lo fecero e, fra l’altro, depretarono anche tante nostre opere d’arte. E non parliamo di quello che fecero i tedeschi.

Orbene, l’esercito americano portò con sé un abbondanza di viveri e vettovaglie di ogni genere. Il nostro Paese era in ginocchio, affamato, privo di risorse di qualsiasi genere. In parte la generosità dei singoli soldati e ufficiali americani, in parte le disposizioni di quello stesso governo di cui eravamo stati nemici, si verificò un notevole sollievo alle nostre sofferenze. Per la verità, dobbiamo dire che a ciò concorse anche un altro fattore, per il quale dobbiamo fare il mea culpa: ci arrangiammo con cospicui furti nei ricchi depositi delle truppe americane. Qualche esempio: a Torre Annunziata, penetrando attraverso il canale del Sarno (ora non più attivo) che passa anche per la zona dell’attuale Via Margherita e, attraversa anche la zona dello Spolettificio, più di una volta nostri compaesani penetrarono in quello stabilimento depretando il deposito che lì era stato creato. Ancora: i camion che partendo dal porto dove avevano caricato ogni ben di Dio dalle navi che ve li avevano scaricati, nell’attraversare la città venivano seguiti da piccole bande che vi salivano rapidamente scaricando sulla strada tutto il loro contenuto che veniva poi immediatamente raccattato e fatto sparire, sicchè quegli automezzi partivano carichi ed arrivavano scarichi. Ciò, fin quando i comandi militari non si videro costretti a dotare ogni automezzo di una scorta armata.

Si dirà: “Ma queste non erano elargizioni spontanee da parte degli americani”. Ma immaginate se questi “interventi” fossero avvenute nei confronti delle truppe tedesche che cosa sarebbe successo? Come possiamo invece definire l’atteggiamento degli americani: generosità o clemenza?

E poi ricordo che nei mesi di marzo – aprile del 1944 navi americane di piccolo tonnellaggio (i famosi Liberty) scaricarono nel nostro porto migliaia di tonnellate di grano che alimentarono i nostri mulini, dandoci la possibilità di rivedere finalmente pane e pasta.

Si dirà: ”Ma gli americani hanno provocato, con i loro bombardamenti aerei distruzioni ed anche morti”. E’ vero, e non c’è giustificazione a questo, però dobbiamo sempre pensare che c’era la guerra, e noi eravamo i nemici.

Senza volerci ripetere, noi ed altri Paesi uscivamo dalla guerra distrutti, laceri ed affamati, con l’attività dei nostri stabilimenti industriali ridotti a zero, infrastrutture completamente inefficienti, le casse dello stato vuote e un inflazione galoppante. Occorrevano necessariamente una ingente iniezione di beni e di danaro per poter farci risorgere. Tra la fine del 1947 e gli inizi del 1948 aluni economisti e politici americani lanciarono un piano di aiuti economici in beni di ogni genere, di consumo, di produzione e monetari, in aiuto dei Paesi soprafatti dall’assenza di ogni risorsa.

Sul cosidetto piano Marshall sono stati scritti centinaia di articoli di giornali e decine di libri pro e contro e non furono pochi quelli che dissero che gli aiuti ci erano stati dati per sottrarci alla sfera d’influenza dell’Europa comunista o anche per crearsi nuovi mercati per smaltire la loro sovraproduzione. Non sta a me (e non ne sono all’altezza) giudicare: quel che è certo e che quei finanziamenti tirarono su la nostra economia stimolando anche lo spirito di iniziativa e di sacrificio del nostro popolo, tanto che, nei decenni successivi, si parlò di “miracolo italiano”.

Anche ora, si parla di “Recovery Fund” come di un secondo piano Marshall. Ma questa generazione saprà trarne profitto? E poi, allora avevamo altri uomini di governo. 

Veniamo a tempi più vicini a noi, certamente lo spettacolo che sta dando il presidente americano uscente con le sue diatribe circa la validità delle elezioni è poco decoroso ma, resta il fatto che la solidità e validità del sistema e il modo in cui avviene lo scambio delle cariche consente che non vi sia alcun vuoto di potere, il che fra presidente uscente e quello sub-entrato (ricordate quello che succede in Italia per l’elezione di un nuovo presidente? Votazioni su votazioni a camere riunite, polemiche, accordi sottobanco, ecc.), senza contare che negli ultimi sei mesi del quinquennio di presidenza, in base alla nostra costituzione, i poteri del capo dello stato vengono praticamente svuotati, essendogli tolto quello di sciogliere le camere. Quando fu ucciso John Kennedy immediatamente dopo, sullo stesso aereo che ne trasportava la salma a Washington il vicepresidente Jonson giurò nelle mani di un giudice federale assumendo immediatamente la carica di presidente. Analogamente, nel 1975 dopo le dimissioni di Nikson subentrò il suo vice presidente e, dopo le dimissioni di quest’ultimo, subentrò (sempre immediatamente) il suo vice Jerard Ford. Per legge, i subentranti restano in carica fino alla fine del quadriennio. C’è da precisare che le votazioni per il nuovo presidente avvengono ogni quattro anni, il 4 novembre, quindi se nel corso del quadriennio, ci fosse una sostituzione, questa durerebbe fino alla scadenza del quadriennio in corso.

A proposito di Jerard Ford, durante la sua carica, il 4 luglio del 1976 si festeggiava il bicentenario dalla fondazione degli Stati Uniti. C’era da aspettarsi che fosse un occasione per mostrare i muscoli, con grandi manifestazioni militari, di carrarmati, missili trasportati, navi da guerra. Invece no: l’avvenimento fu festeggiato con l’operation saeil (operazione vela) cioè una parata, nella baia di New York delle 200 barche a vela più belle del mondo, fra cui la nostra Vespucci, la più bella. Alla cerimonia presenziò il Presidente sull’unica nave da guerra presente (un cacciatorpediniere) quando salì a bordo il presidente fu accolto dal comandante, che era una persona di colore. Solo le nazioni forti possono permettersi simili esibizioni. Nella stessa occasione fu esposta una bandiera americana grande quanto un campo di calcio, situata in posizione orizzontale lungo tutta la fiancata di uno dei ponti (credo che fosse il Verrazzano). Purtroppo subentrò una tempesta di vento che fece lacerare la bandiera. Parlandone con un americano dissi: “In genere, quando si espongono striscioni o simili, si fanno dei buchi in maniera da allentare parzialmente la forza del vento”. Egli mi guardò esterefatta e mi rispose: “Ma come, buchi nella bandiera americana? Questo sarebbe un oltraggio”.

E che dire dell’inno nazionale? Esso viene intonato in ogni manifestazione a carattere collettivo, sia essa istituzionale, o sportiva, o, anche, di spettacolo teatrale, e i presenti, tutti in piedi, con la mano sul cuore.

E pensare che la popolazione degli Stati Uniti d’America è costituita da un crogiuolo di tante diverse etnie, culture, tradizioni storiche, che sono riuscite a formare un unico e compatto organismo.

Con quello che ho detto, non intendo assolvere gli Stati Uniti dai tanti suoi lati negativi, specialmente per le guerre non sempre giuste portate nel mondo e per i modi di conduzione delle stesse. Ho voluto soltanto evidenziare i lati positivi, che in parte hanno riguardato anche noi e proporre alla nostra classe dirigente certi esempi di governo che faremmo bene