Oggi, 25 settembre 2022, ricorre il 126° anniversario della morte di Sandro Pertini, il presidenti della Repubblica più amato dagli italiani. Ma non tutti conoscono, però, le traversie cui egli è andato incontro durante il ventennio fascista.
Sandro Pertini fu perseguitato e subì dure condanne. Solo una volta fu processato e assolto, dal Tribunale di Napoli, che all’epoca era competente anche per le isole pontine.
Un episodio che vale la pena ricordare e ripercorrere, attraverso i documenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli e ripresi da Vito Faggi nel suo “Sandro Pertini: sei condanne due evasioni”, edito da Mondadori nel luglio del 1978, quando Pertini fu nominato settimo presidente della Repubblica Italiana.
L’avvocato Alessandro Pertini, come detto, subì sei condanne. La prima, il 3 giugno 1925, dal Tribunale di Savona: otto mesi, 1.200 lire di multa e 50 di ammenda per aver compilato, fatto stampare e distribuito un foglio dal titolo “Sotto il barbaro dominio fascista”. L’anno seguente, fu proposto per il confino di Polizia. Espatriò in Francia, dove fu condannato dal Tribunale di Nizza ad un mese, con la condizionale, per aver impiantato una stazione radio clandestina al confine con l’Italia. Rientrò sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato, stavolta dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con sentenza del 30 novembre 1929.
Espiata la pena, fu mandato al confino, sull’isola di Ponza. Tra le prescrizioni che furono imposte a lui e agli altri confinati, c’era il divieto di “intrattenersi tra loro e di salutarsi quando si incontravano per strada”. Inoltre, il direttore della colonia, aveva sciolto la mensa collettiva, proprio per evitare occasioni d’incontro tra i confinati.
Il 5 maggio 1937, l’ispettore generale di PS, Raffaele Capobianco, convocò il confinato Alessandro Pertini per notificargli le nuove prescrizioni. Dal rapporto della direzione della colonia, si legge che “Il Pertini, con atteggiamento spavaldo e provocante intendeva ingaggiare con Capobianco un’oziosa e lunga polemica per criticare con asprezza il provvedimento adottato” e che “puntando l’indice minaccioso verso il sig. Ispettore Generale gli ha gridato a voce alta «Lei mi deve ascoltare, io di qui non mi muovo». E ancora «Io sono educato: se lei è una persona educata mi deve ascoltare, altrimenti io non mi muovo di qui e lei mi faccia portare via dai suoi agenti»”. Tanto bastò per farlo arrestare e processare per i reati previsti e puniti dagli articoli 341 e 337 del codice penale: oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.
Pertini rifiutò il cibo per due giorni, per protesta. Il 7 maggio fu interrogato dal vicepretore di Ponza, Michele Scardaccione e negò di aver usato oltraggio e di aver opposto resistenza: “Mi limitai a dire che mi sono comportato con educazione e correttezza e di non meritare l’intimazione, piuttosto mi faccia condurre dai suoi agenti. Dopo tali parole uscimmo tutti nell’anticamera dove l’ispettore per l’ultima volta indicandomi la porta chiusa mi disse «Esca fuori». Io gli risposi: «Se lei mi dice di accomodarmi esco, altrimenti non posso aderire alla sua ingiunzione per me troppo umiliante»”.
Rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Napoli, il 10 maggio fu tradotto sulla terraferma, nel capoluogo partenopeo, in carcere. Mentre s’imbarcava sul traghetto, scortato dai carabinieri, fu salutato con abbracci e incoraggiamenti da altri confinati: Domaschi, Bernardino, Calace e Fancello. Il direttore della colonia li fece fermare e li denunciò per violazione della prescrizione che vietava, per l’appunto, ai confinati di salutarsi tra di loro.
Al processo lo difese il prof. Enrico Altavilla, che alla fine della guerra sarà eletto alla consulta nazionale. Il presidente del Tribunale era il Giudice Giuseppe Ricciulli, a latere Carlo Cagnazzo e Francesco Cervelli. Il Pubblico Ministero chiese l’assoluzione per il reato di oltraggio, per insufficienza di prove, ed anche per la resistenza, perché il fatto non costituiva reato. Chiese, invece, la condanna a tre mesi di arresto per la contravvenzione all’art. 186 del testo unico di polizia, in quanto da confinato non aveva tenuto una buona condotta.
Il Tribunale di Napoli lo assolse dall’imputazione di resistenza perché il fatto non sussiste e dalle altre imputazioni per insufficienza di prove.
Si trattò della prima ed unica assoluzione per Sandro Pertini durante il Fascismo, che di condanne ne subì sei. L’ultima a morte, dalle SS, a Roma. Evase, insieme con Giuseppe Saragat, dal carcere di Regina Coeli e si distinse durante la Resistenza. In seguito fu nominato deputato, poi presidente della Camera e infine, nel 1978, settimo presidente della Repubblica Italiana.
Nino Di Somma