A cura della Redazione
Anche se in misura ermetica, il giornalista de La Stampa, Massimo Gramellini, sull´edizione odierna del quotidiano torinese, si è scusato con la città di Torre Annunziata per averla citata, erroneamente, in un articolo apparso venerdì 13 maggio sulla vicenda relativa alla processione di San Catello a Castellammare di Stabia. In quell´occasione, il corteo si è fermato nei pressi dell´abitazione di un boss della camorra suscitando aspre polemiche verso la Chiesa stabiese soprattutto da parte del sindaco Luigi Bobbio. "A causa di un lapsus - scrive Gramellini - in un passo del Buongiorno di venerdì scorso ho scritto «Torre Annunziata» al posto di «Castellammare». Me ne scuso con i lettori". IL COMMENTO Il buongiorno è stato meno buono oggi. La rubrica di Massimo Gramellini sulla prima pagina della Stampa è una delle prime letture mattutine. Alla terza riga leggo il nome di Torre Annunziata, indicato come luogo in cui una processione patronale avrebbe sostato davanti all’abitazione di un camorrista. La sorpresa è duplice, innanzitutto perché non è tempo di feste, poi perché penso che la mia attenzione per le cose torresi deve essere molto calata se un dettaglio del genere mi sia sfuggito. Poi un po’ mi rianimo: tutti i riferimenti successivi sono a Castellammare, al suo vescovo e al suo sindaco, divisi tra giustificazione e condanna di un fatto comunque insopportabile. Sarebbe l’atto di resa della Chiesa davanti all’Antistato, la legittimazione – come dire? - religiosa del malaffare. Osservazioni e riflessioni che non hanno confini, il fatto che tutto sia accaduto a cinque chilometri da noi renderebbe (anzi, rende) la storia comunque allarmante e le parole di Gramellini assolutamente sottoscrivibili. Ma quella citazione – Torre Annunziata – ha prodotto un senso di fastidio: come se non bastassero le nostre mancanze, le nostre storture, ne conquistiamo altre… ad honorem. Di Torre Annunziata, della Procura sono solo i magistrati che indagano, l’argine dietro il quale resistono le speranze di sopravvivenza della legalità. Per una volta, per questa volta almeno, caro Gramellini, siamo innocenti. MASSIMO CORCIONE Ecco la nota apparsa in prima pagina oggi sul quotidiano "La Stampa", dal titolo "Cosche dell’altro mondo", a firma di Massimo Gramellini nella rubrica "Buongiorno". Da giorni sto aspettando che qualcuno mi dica che non è vero. Che non è vero che domenica scorsa, a Torre Annunziata, la processione del santo patrono si sia fermata davanti alla casa di un noto camorrista della zona per rendergli pubblico omaggio. Che non è vero che l’arcivescovo di Castellammare, monsignor Felice Cece, abbia minimizzato la sottomissione della sua comunità al signorotto feudale, affermando che la sosta non intendeva omaggiare il camorrista, oh no, ma la chiesa di Santa Fara. Che non è vero che l’arcivescovo abbia continuato ad arrampicarsi sui muri, nonostante il sindaco Luigi Bobbio gli avesse prontamente replicato che la chiesa di Santa Fara si trova dieci metri prima della casa del camorrista e che rimane chiusa quasi tutto l’anno. Ma soprattutto sto aspettando che qualcuno mi dica che non è vero, non può essere vero, che la conferenza dei vescovi italiani (Cei) dotata di riflessi felini quando tratta di intervenire su coppie di fatto, fine vita o fecondazione artificiale, all’alba del quinto giorno dagli incredibili avvenimenti di Castellammare non abbia ancora sentito il bisogno di far sentire pubblicamente la sua voce. Anche solo per ricordare che Gesù non è morto in croce per andare a inginocchiarsi duemila anni dopo davanti alla porta di un camorrista. Per favore, qualcuno mi dica che tutto questo non è vero. Che siamo in un Paese evoluto abitato da cittadini e da arcivescovi evoluti. Vero? MASSIMO GRAMELLINI