A cura della Redazione

Maxi blitz dei Carabinieri a Catania. Sono 46 le persone arrestate nell'ambito di una inchiesta coordinata della Procura Distrettuale Antimafia etnea. Impegnati oltre duecento militari dell'Arma, supportati dai reparti specializzati, tra cui elicotteristi, cinofili e i "Cacciatori" di Sicilia.

Le accuse mosse a vario titolo sono di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti aggravata dal “metodo mafioso” e dalla finalità di agevolare l’attività delle cosche, nonché acquisto e detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.

Un’altra ordinanza applicativa di misure cautelari - emessa dal GIP presso il Tribunale per i Minorenni di Catania, su richiesta della Procura della Repubblica per i Minorenni - è stata eseguita a carico di 5 soggetti, all’epoca dei fatti minori, due dei quali collocati in comunità e tre in Istituto penitenziario minorile, che sarebbero stati inseriti nel medesimo contesto associativo criminale e partecipi di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Notificato infine l’avviso di conclusione indagini preliminari ad altri 20 soggetti nei confronti dei quali, pur essendo stata riconosciuta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, non sono state emesse misure cautelari personali per assenza di esigenze cautelari.

L’operazione, denominata “Malerba”, ha consentito di disarticolare i vari gruppi criminali che gestivano numerose “piazze di spaccio”, in particolare di cocaina e marijuana, nel popoloso quartiere di San Giovanni Galermo di Catania. Dalle investigazioni è emerso come “Cosa nostra” catanese, nonostante le continue operazioni di polizia sul territorio, sfruttando la peculiare morfologia dell’area, caratterizzata da complessi edilizi “chiusi” non facilmente permeabili dalle forze di polizia, come la nota via Capopassero, continua a controllare il territorio e ad imporre ai singoli sodalizi criminali regole, prezzo e quantitativo della droga da smerciare, creando un vero e proprio sistema di controllo del mercato.

L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Catania Fontanarossa da marzo 2021 ad aprile 2022, rappresenta la prosecuzione della maxi operazione Scanderbeg, che nel 2020 ha visto l’arresto di 101 soggetti. Attraverso attività di osservazione a distanza, affiancata da intercettazioni e numerosi riscontri oggettivi (arresti in flagranza di reato, controllo degli acquirenti, sequestri di droga, denaro e armi), è stato possibilericostruire il “modus operandi” delle piazze di spaccio, delineando struttura ed organigramma dei vari gruppi criminali che vi operavano, alternandosi in diversi turni orari nell’arco dell’intera giornata, con una copertura h 24.

Al vertice dell’associazione a delinquere, col ruolo di coordinatore e supervisore di molte piazze di spaccio, vi sarebbe il noto pluripregiudicato Antonino Raimondo. Per gli inquirenti sarebbe lui ad occuparsi della fornitura, in modo esclusivo e continuativo, della sostanza stupefacente per conto del gruppo Nizza, inserito nella famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, egemone nel Catanese.

Le diverse realtà criminali della zona avevano stipulato un accordo teso ad evitare la concorrenza sleale tra le piazze di spaccio e l’insorgere di possibili conflitti tra gruppi mafiosi. Ad esempio, i pusher su strada non possono chiamare gli automobilisti/acquirenti che giungono lungo la via, che possono autonomamente scegliere la piazza di spaccio cui rivolgersi.

Alcune “piazze di spaccio” attive senza soluzione di continuità, consentivano a circa 2.500 clienti giornalieri di acquistare a qualsiasi ora la loro dose quotidiana di marijuana, cocaina o crack. Gli investigatori stimano in 240mila euro al giorno i ricavi derivanti dallo smercio delle droghe al dettaglio, soldi prevalentemente destinati al sostentamento degli associati ed al mantenimento dei detenuti mafiosi e delle loro famiglie.

La piazza di spaccio veniva gestita da un responsabile (il "capo piazza"), al quale il coordinatore dei diversi "punti di vendita" - Antonino Raimondo - avrebbe assegnato una determinata fascia oraria nella quale organizzare la vendita di stupefacente (marijuana, cocaina e crack).

Il responsabile di ciascuna piazza individuava poi gli addetti alle cessioni (i pusher) che, coadiuvati dai corrieri responsabili del trasporto dello stupefacente dal luogo di stoccaggio al luogo di vendita, dagli addetti alla custodia delle sostanze stupefacenti (che avveniva in abitazioni limitrofe o altri luoghi) e dalle vedette che li avvisavano tempestivamente per consentire loro una fuga immediata, ponevano in essere innumerevoli cessioni di stupefacenti, nell’ordine delle centinaia per ogni turno.

La fitta rete di vedette, che comunicavano tra loro via radio - sia quelle statiche posizionate all’interno di abitazioni private o sulle terrazze dei palazzi, sia quelle dinamiche operanti su strada a bordo di motocicli messi a disposizione dalle organizzazioni e preposte al controllo delle vie di accesso carrabili e pedonali - garantiva un servizio a favore dell’intera collettività criminale del quartiere, retribuito dai responsabili di tutte le piazze di spaccio.

L’indagine ha inoltre consentito di accertare la disponibilità e l’utilizzo, da parte di alcuni indagati, di armi da fuoco all’interno delle piazze di spaccio come testimonia il sequestro operato il 24 marzo 2022 di una pistola semi-automatica calibro 380 con matricola abrasa, ed il rinvenimento nella stessa circostanza di una pistola semiautomatica calibro 7.65 carica e pronta all’uso.