A cura della Redazione
Erano le 16.30 del 18 marzo 1944. Giuseppe Imbò, vulcanologo, e all’epoca direttore dell’Osservatorio Vesuviano, con un fonogramma inviato al Comando napoletano delle truppe alleate, proclamò l’inizio della fase parossistica vesuviana con la proiezione, dalla sommità del Vesuvio, di scorie vulcaniche che andavano ad impattare sulla stessa parte alta del cratere. Poche ore dopo dai primi bagliori, che squarciarono l’innevata montagna, le lave che cominciarono a fuoriuscire dalle crepe apertesi sulla platea lavica sommitale, che ben presto colmarono la voragine, già “intasata” da anni di attività intracraterica. Iniziarono così tracimare all’esterno della bordatura orientale. Il Vesuvio, in un attimo, smise di essere la tanto ammirata montagna, dalle truppe occupanti nazifasciste, prima, durante i periodi di licenza dal fronte, e dagli alleati dopo, per divenire ben presto l’ennesimo flagello che andò ad infierire sulla già stremata popolazione, che pativa gli stenti legati alle vicissitudini belliche del periodo. Ovviamente anche quello venne tramutato da parte delle truppe alleate di stanza a Napoli in uno spettacolo unico. Nella serata di quel 18 marzo, dalla città di Napoli, erano visibilissime le lingue di fuoco che nel frattempo avevano già raggiunto, prima a velocità sostenuta per via del declino del pendio del gran cono, poi ad una velocità di circa 10 metri l’ora, l’atrio del Cavallo andando ad impattare poco dopo lungo la caldera del Monte Somma. Lo stesso spettacolo cominciò ad essere visto, in serata, anche dai versanti occidentali in quanto le lave cominciarono a tracimare anche dagli orli del cratere che guardavano a sud. In quel frangente, mentre le truppe statunitensi facevano a gara per avvicinarsi quanto più possibile allo spettacolo, raggiungendo ben presto i luoghi della sciagura, i vesuviani si videro costretti, ancora una volta, a combattere i podromi di un’eruzione che, proprio in quel momento, il Vesuvio avrebbe potuto risparmiarsi! Il giorno seguente le colate laviche, che si intravidero la sera prima appena sotto il Gran Cono della montagna, avevano già raggiunto le propaggini del fosso della Vetrana, poco sopra i centri abitati di Massa di Somma e San Sebastiano al Vesuvio. Mentre sugli altri versanti, almeno per il momento, questo genere di pericolo risultò scongiurato. A questo punto le autorità alleate optarono per lo sgombero dei due centri abitati direttamente minacciati dai flussi lavici e il giorno successivo lo stesso proclama venne indirizzato anche alle cittadine di Torre del Greco e Torre Annunziata sulle quali, nella mattinata del giorno 20, cominciò ad abbattersi un’insistente pioggia di cenere grossolana. «Durante la guerra siamo stati sfollati a Nocera e non avremmo mai pensato di fuggire da Torre Annunziata dopo che i tedeschi si erano ritirati. La mattina eravamo usciti per vedere cosa si diceva in strada del Vesuvio e anche per osservare la cenere che cadeva. Camminavamo con i piedi nudi nella coltre di cenere in quanto non volevamo far rompere quel poco che rimaneva delle scarpe. Era anche piacevole a dire il vero. Dai tetti si vedevano le persone svuotare nel vuoto, sotto il quale c’erano le strade, i “cuofani” riempiti della cenere raccolta sulle “carose”. Era per non farle sfondare sotto la spinta del loro peso. Ricordandomi bene non era “giorno” ma era quasi una “cosa” più simile alla notte. Decidemmo così di rientrare a casa anche per non rischiare che qualche pietra potesse caderci in testa. Decidemmo, poi, di allontanarci, anche se per pochi giorni, in quanto la situazione verso Nocera risultò anche peggio che da noi a Torre Annunziata». La signora Carmela, classe 1929, del Rione Cuparella di Torre Annunziata, con questo suo breve racconto di quel momento, ci ha aperto “il libro della sua mente” che poi si è rivelato una finestra sul passato. In effetti fu così. Il giorno 22 marzo, le lave, suddivise a loro volta in due enormi rami aventi un fronte di quasi 200 metri, impattarono sugli abitati di Massa di Somma e San Sebastiano al Vesuvio ingoiando ogni cosa che incontrarono sul loro cammino. Nel frattempo l’enorme colonna eruttiva che si era innalzata sulla montagna cominciò a collassare distribuendo sui versanti da ovest a est del vulcano un enorme quantitativo di detriti scoriacei. Torre Annunziata si trovò al limite del plume aereo dei prodotti eiettati dal Vesuvio, anche se poi non venne risparmiata dalle ceneri che a tratti, sospinte dai venti settentrionali che cambiavano direzione in continuazione, si accanirono notevolmente sull’abitato. Di questi momenti ci narrano le immagini fotografiche realizzate dal Capitano Medico dell’U. S. Army Leanders K. Powers di stanza a Torre Annunziata (l’intera raccolta di circa 500 negativi impressi su pellicola da 35mm, è stata rilevata dallo scrivente e oggi rappresenta un fondo di straordinario valore storico parte della Raccolta/Archivio Marasco) dal novembre 1943 all’aprile 1944, presso Villa Pagano situata in Via Gambardella dove si insediò un posto di comando statunitense, e dal cui attico immortalò le terribili fasi dell’eruzione durante i giorni del 23 e 24 marzo. L’opera di soccorso statunitense alle popolazioni disastrate di Massa di Somma, San Sebastiano al Vesuvio ed ai paesi flagellati dalle copiose piogge di ceneri, le quali in alcuni punti si andarono ad accumulare anche per oltre 2 metri, fu imponente. Ben presto i Comandi alleati, vista la gravità della situazione, inviarono truppe con mezzi di fortuna di ogni genere, sia per liberare le vie di comunicazione principali dai detriti, sia per caricare il salvabile e mettere a riparo la popolazione, che successivamente si ritrovò in uno stato pietoso in quanto si constatò che ogni cosa andò persa, compreso l’utilizzo dei campi per piantare le colture di sussistenza. L’ultimo sussurro del Vesuvio si dimostrò un ulteriore flagello che raggiunse proporzioni immani considerato il periodo storico che le popolazioni vesuviane stavano attraversando. A distanza di 70 anni da quel momento, il Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”, venerdì 28 marzo, commemora quell’evento nella suggestiva cornice del Convento dei Padri Celestini annesso alla Parrocchia dell’Ave Gratia Plena, Basilica Pontificia di Maria SS. della Neve, con una serata di divulgazione scientifica e l’illustrazione di documenti storici. Un risveglio delle coscienze di chi oggi non considera più il luogo dove vive come “terra viva”. A ricordarci di quei momenti, le immagini recuperate dagli Archivi di guerra americani e inglesi durante l’opera di ricerca intrapresa dal prof. Angelo Pesce, geologo, studioso e testimone oculare dell’eruzione, il quale proporrà dei filmati eccezionali realizzati dalle varie troupe accorse durante l’eruzione. E non per ultimo, i membri del Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno” metteranno a disposizione dei presenti una cernita di immagini riguardanti l’eruzione tratte dalla Raccolta/Archivio Marasco. VINCENZO MARASCO dal settimanale TorreSette del 28 marzo 2014