A cura della Redazione

Il “negozio automatico”  sembra essere la naturale evoluzione del concetto di vending pubblico: una batteria di  distributori automatici di varia tipologia inseriti in uno spazio chiuso ma accessibile a tutti. 
In un certo qual modo lo shop automatico integra e/o fa concorrenza al cosiddetto “street vending”, termine inteso in un’accezione allargata e applicata alla distribuzione automatica e col quale generalmente si indica l’attività degli ambulanti. Il concetto di “negozio automatico” è il risultato della combinazione di due diversi segmenti del fast retail : il vending e il convenience store, dove “convenience” sta per comodo, pratico e non economicamente conveniente come il termine suggerirebbe.
La fusione dei due diversi concept ha dato avvio allo sviluppo dei micro market automatizzati, un format che negli ultimi anni è diventato la risposta concreta alle esigenze di shopping del consumatore moderno. I micromarket automatizzati aperti 24/7/365 rappresentano la soluzione di shopping ideale per i consumatori di oggi, per i quali il tempo libero tende a dilatarsi sempre più verso la sera, parte della giornata in cui si cerca di concentrare tutte le attività extralavorative: lo sport, il cinema, gli incontri con gli amici e anche lo shopping. Mentre prima si andava fuori per fare shopping, oggi si fa shopping quando si è fuori e la nuova esigenza è quella di avere sempre a disposizione i luoghi d’acquisto, soprattutto oltre gli orari canonici dei negozi tradizionali.

Negli Stati Uniti quest’esigenza si è sentita prima che altrove. Già nel 1927  venne aperto in Texas il primo “convenience store”, un minimarket in cui si vendeva di tutto un po’, aperto dalle 7,00 del mattino alle 11,00 di sera. I convenience store rappresentarono una rivoluzione nel mondo del retail e incontrarono rapidamente  i favori dei consumatori che ne apprezzavano la comodità, l’accessibilità e la varietà dell’offerta, pur nella consapevolezza di pagare qualche centesimo di dollaro in più rispetto ai negozi tradizionali. Il concept funzionò e fece la fortuna della Southland Company la quale diede avvio allo sviluppo della prima catena di convenience store: i “7-Eleven”. Già nel 1952, nonostante gli anni della guerra, la compagnia arrivò ad aprire negli Stati Uniti il centesimo punto vendita e ad inserire sugli scaffali una sempre maggiore varietà di prodotti . Il passaggio dall’orario di apertura originario al definitivo h24 avvenne per caso nel 1962 quando, in occasione dei campionati di calcio dell’Università del Texas, il punto vendita di Austin fu costretto a restare aperto notte e giorno per soddisfare le richieste del pubblico che andava ad assistere alle partite.
Divenuto un franchising ed esportato in tantissimi Paesi nel mondo, il 7-Eleven è uno dei simboli delle abitudini di vita quotidiana degli americani ed è riuscito ad ottenere pari fortuna solo in Giappone, dove il concept è arrivato alla fine degli anni ’80. I “konbini”,  versione orientale del convenience store d’importazione americana, hanno invaso le grandi città del Giappone e rappresentano un punto di riferimento per lo shopping quotidiano del popolo giapponese stritolato da frenetici ritmi di lavoro.

Perché i convenience store si sono diffusi e continuano a diffondersi così rapidamente? Cosa li rende attraenti per il consumatore, nonostante i prezzi più alti rispetto ai canali della grande distribuzione, fattore di non poco conto in un’epoca di recessione come la nostra?

La prima risposta ha una valenza psicologica ed emozionale: il convenience store, presente ovunque e a tutte le ore, risolve un disagio emotivo di cui è vittima il cittadino di oggi.  In una società dominata da ansia e stress, in cui si corre sempre e gli impegni lavorativi occupano gran parte della giornata, l’espressione ricorrente “non ho tempo per…” non si riferisce solo ad attività secondarie relative alla sfera del piacere, ma anche ad attività che attengono alla sfera delle necessità primarie, come quella appunto di fare la spesa. In questo contesto, le porte sempre aperte del minimarket h24 rappresentano una rassicurazione, colmano un vuoto, risolvono un problema.
Accanto a questa motivazione profonda, ve ne è una quantità di tipo pratico: la capillare presenza sul territorio; la possibilità di evitare la fila alle casse nel momento del pagamento; il risparmio su alcune tipologie di prodotto, come ad esempio quelli da bar, rispetto ai negozi tradizionali; la disponibilità di una grande varietà di prodotti concentrati in uno spazio contenuto: alimenti, sigarette, ricariche telefoniche, giornali, libri, CD e DVD,  cosmetici, materiale elettronico ecc.;la possibilità di acquistare cibi precotti e consumarli subito, grazie alla disponibilità in loco di forni a microonde, caratteristica che risponde pienamente alle esigenze del “food on the go”.
La robotica e l’avvento dell’informatica, uniti alla crescente diffusione dei distributori automatici, hanno fatto il resto. L’automazione ha dato una nuova logica al convenience store, lo ha attualizzato sviluppando un nuovo  concetto, quello appunto dell’automated micromarket.
Certamente il passo non è stato diretto e repentino. Ci sono state e ci sono ancora situazioni ibride in cui il vecchio e il nuovo concetto coesistono e all’interno di uno stesso locale la vendita al banco si integra con quella automatica attraverso le vending machine. Né è accaduto che lo shop automatico h24 abbia soppiantato il convenience store il cui numero, come abbiamo visto, continua a crescere. Le due realtà convivono sul territorio, soprattutto nelle città più grandi, con netta prevalenza del vecchio format rispetto a quello automatico. Ma considerando la giovane storia dei negozi automatici, si può immaginare che essi recupereranno terreno con le generazioni del futuro prossimo se saranno capaci, come stanno già dimostrando, di rispondere a nuove ulteriori esigenze.