A cura della Redazione

Sono passati otto anni da quella tragica mattina del 7 luglio 2017, quando alle prime luci dell’alba un’ala di un palazzo in Rampa Nunziante a Torre Annunziata crollò improvvisamente, trascinando con sé otto vite innocenti. Una ferita profonda per la città, che oggi, come ogni anno, si stringe nel ricordo di quella tragedia.

Sotto le macerie persero la vita due intere famiglie: Francesca e Salvatore Guida, insieme ai genitori Pasquale Guida e Anna Duraccio; l’architetto Giacomo Cuccurullo, la moglie Edy Laiola e il figlio Marco; e la signora Pina Aprea. Un’intera comunità fu sconvolta dal dolore, mentre i soccorsi lavoravano senza sosta tra le macerie.

Già dalle prime ore successive al crollo, emersero sospetti su lavori di ristrutturazione in corso in un appartamento al secondo piano del palazzo. Le indagini, durate anni, hanno portato a perizie tecniche, processi e infine condanne. Il processo di Appello, concluso nel dicembre 2024, ha stabilito pene pesanti: 12 anni al proprietario dell’appartamento e al direttore dei lavori, 11 anni a un tecnico collaboratore, 9 anni e sei mesi al mastro operaio, 9 anni all’amministratore di condominio. Una giustizia lunga, ma necessaria.

Torre Annunziata non ha mai dimenticato. Ogni anno, il 7 luglio, viene celebrata una santa messa in suffragio delle vittime e un cero della città viene acceso ai piedi della lapide commemorativa posta in Rampa Nunziante. È un gesto semplice ma denso di significato: un impegno della comunità a custodire la memoria e a non lasciare che il tempo cancelli la verità.

Le campane che suonano a lutto, il silenzio commosso dei presenti, gli sguardi rivolti verso quel luogo diventato simbolo di dolore e responsabilità civile: tutto questo rappresenta non solo il ricordo delle otto vite spezzate, ma anche il monito affinché tragedie del genere non si ripetano mai più.

“Ricordare è un dovere. Per rispetto delle vittime, per giustizia, per la nostra coscienza”.