A cura della Redazione

Vincenzo Amoruso e Luigi Della Grotta, rispettivamente di 47 e 48 anni. Sarebbero loro - per gli inquirenti - i capi attuali del clan Gionta di Torre Annunziata, "i due boss che abbiamo adesso", come scritto in un pizzino rinvenuto dagli investigatori nel corso delle indagini che hanno protato la DDA di Napoli ad emanare un decreto di fermo nei confronti di dodici affiliati al sodalizio criminale, tra cui gli stessi Amoruso e Della Grotta.

I carabinieri del Nucleo Investigativo oplontino hanno eseguito nella nottata tra martedì 5 e mercoledì 6 settembre il provvedimento. Gli indagati sono accusati a vario titolo di estorsione, detenzione e porto illecito di armi, reati compiuti con l'aggravante delle finalità mafiose.

Per gli inquirenti, Amoruso e Della Grotta avevano preso il posto al vertice del clan di Ciro Nappo, che aveva diretto il sodalizio criminale e promosso attività estorsive in danno di imprenditori e commercianti torresi, ancorché in stato di latitanza, e fino al momento del suo arresto avvenuto il 26 maggio 2016 in un casolare agricolo di Trecase per mano degli stessi militari del Nucleo Investigativo, diretto dal tenente colonnello Leonardo Acquaro.

Nel corso delle indagini sono stati documentati venti episodi estorsivi ai danni di quattordici tra imprese, esercizi commerciali, società di ormeggi e centri medici, ai quali veniva imposto, in misura variabile in base alla capacità economica delle vittime, il pagamento mensile (fino a 4mila euro) del pizzo, che poteva anche essere annuale o da "riscuotere" in occasione delle festività natalizie, pasquali e a Ferragosto. Emerge anche la "spartizione" del territorio attraverso una sorta di accordo tra le organizzazioni criminali della zona: oltre ai Gionta, i Limelli-Vangone (che avevano la "leadership" delle attività illecite a Boscotrecase, Boscoreale e Trecase) e i Gallo-Cavalieri (attivi sempre a Torre Annunziata). Gli affiliati raccoglievano le estorsioni seguendo una autentica mappatura che consentiva di individuare i negozi che dovevano pagare i Gionta e quelli che invece "appartenevano" all’altro clan torrese, i Gallo-Cavalieri.

Il denaro provento delle estorsioni veniva così utilizzato per il sostentamento delle famiglie degli affiliati. A tal riguardo - spiegano gli investigatori - emerge una particolare aggressività delle mogli dei detenuti della cosiddetta vecchia guardia, le quali pretendevano un mantenimento “privilegiato”, in quanto i mariti “hanno fatto la storia del clan, sono quelli che hanno conquistato i soldi dei negozianti”.

Emblematico è il caso della moglie di un ergastolano che rimprovera al clan uno scarso attivismo nella gestione del racket, con grave pregiudizio per lo stipendio di tutti gli affiliati.

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