A cura della Redazione

Per la prima volta rompe il silenzio. In oltre 40 anni di processi, il boss Valentino Gionta ha deciso di rispondere ad un interrogatorio. È successo ieri mattina nel corso del processo che lo vede di nuovo imputato come capoclan di Torre Annunziata, nonostante sia da oltre trent'anni detenuto al 41-bis, il regime del carcere duro. Attualmente è ristretto nella Casa Circondariale di Novara.

«Da un anno voglio parlare, ma non mi hanno interrogato. Sono in carcere da più di trent'anni, sono in questa “situazione” da 43-44 anni, ma è la prima volta che sto cominciando a parlare di tante cose. Allora dico ai giudici: guardatevi bene le carte e chiedetemi pure, che ve le spiego io le cose». Questo è in sunto quanto ha dichiarato Valentino Gionta, 69 anni, boss di Torre Annunziata. 

Ha parlato di sua moglie Gemma Donnarumma, oggi libera, ma anche di sua figlia Teresa Gionta e del marito Giuseppe Carpentieri, nonché del nipote 39enne che porta il suo nome e il suo cognome, tutti e tre a processo con lui e accusati di essere i reggenti e di aver riorganizzato il clan Gionta tra il 2020 e il 2021, con tanto di giro di estorsioni. 

«Le mie giornate qui sono sempre uguali - ha detto Valentino Gionta - per questo ho chiesto ai miei familiari di venire più spesso. Perché io qua dentro sto da solo, penso, mi innervosisco e voglio cambiare qualcosa. Voi (riferendosi agli inquirenti, ndr) però vedete in quelle parole solo cose di camorra, invece c'è anche l'affetto verso i miei familiari». 

Tanti i riferimenti fatti nel corso del suo interrogatorio, che saranno valutati dall'Antimafia. Irriducibile, sempre in silenzio, nonostante le pesanti accuse e la condanna all'ergastolo, Valentino Gionta ha per la prima volta mostrato voglia di confrontarsi.