Torre Annunziata – 26 agosto 1984 – 26 agosto 2025. Quarantuno anni separano la città da una delle pagine più nere della sua storia: la strage di Sant’Alessandro, una delle mattanze di camorra più efferate mai registrate in Campania.
Era mezzogiorno di una tranquilla domenica di fine estate quando un commando di quattordici sicari, a bordo di un autobus turistico rubato, fece irruzione in largo Grazie/via Castello, a ridosso del quadrilatero delle Carceri, storica roccaforte del clan Gionta. I killer scesero dal veicolo e aprirono il fuoco alla cieca: otto persone furono uccise, sette rimasero ferite.
La strage fu una vendetta ordita dalle famiglie Bardellino, Alfieri e Fabbrocino contro Valentino Gionta e il suo clan. Il boss riuscì a salvarsi, ma non altre vite innocenti: tra le vittime anche Francesco Fabbrizzi, 54 anni, estraneo al mondo criminale, ennesima vittima innocente delle faide.
Le parole di Giancarlo Siani
Di quella tragica vicenda scrisse anche Giancarlo Siani, giovane cronista de Il Mattino. In un articolo del 10 giugno 1985, meno di un anno dopo la strage, mise nero su bianco i legami tra i clan:
«Un accordo tra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana», scrisse Siani.
Quelle parole segnarono la sua condanna a morte. Pochi mesi dopo, il 23 settembre 1985, il giornalista fu assassinato sotto casa, a soli 26 anni.
La memoria tra cinema e documentari
La strage di Sant’Alessandro è stata raccontata anche nel film “Fortapàsc” di Marco Risi (2009), dedicato alla vita e al coraggio di Siani. Nel 2010, invece, un documentario realizzato da Antonio Ruocco e Gaetano Acunzo con gli studenti del Liceo Artistico “de Chirico” di Torre Annunziata vinse il premio dell’Ordine dei Giornalisti al Festival “Indoxx 2010”.
Il ricordo
Oggi, il tratto di strada che dal vecchio circolo dei pescatori conduce in via Bertone porta il nome delle Vittime innocenti di camorra, un segno tangibile della memoria e della volontà di non dimenticare.
La città continua a portare impressa quella ferita, trasformandola in un monito: perché la violenza delle mafie non cancelli mai più la vita di innocenti.