A cura della Redazione
Caro Vescovo, mi rivolgo così a Lei, perché ho più di una volta notato la Sua tendenza all’accoglienza e all’informalità. Grazie anche a Monsignor Raffaele Russo per l’invito a questo incontro sul futuro di Torre Annunziata. Grazie in particolare per il luogo e la zona dell’appuntamento, quella della mia infanzia... Questo teatro, appena rinnovato, potrebbe costituire uno dei mattoni per la ricostruzione della città. Sono nato a pochi passi da qui, in un vicolo - o’ vico nuovo - sono purtroppo diventato un bulletto pronto a fare a botte, qualche volta ho rubacchiato per sfizio, ma… ho incontrato un prete, don Pasqualino Pagano, e degli insegnanti - Vincenzo Mistretta, Maria Rosaria Monaco, Salvatore Russo, Luigi Della Femmina, Antonio Carosella… - che hanno compreso e valorizzato la mia parte buona ed hanno chiuso in un angolo quella cattiva, altrimenti la mia vita… Ecco perché ho cominciato a girare le scuole: vorrei… Metto il mio cuore in quello degli studenti e li aiuto a tirar fuori le cose meravigliose che hanno dentro. A cinquant’anni, dopo tanta magistratura, sono addirittura passato dalla repressione alla prevenzione: non avevo voglia di giudicare ma di amare! Mi sono reso conto che per il mio essere psicofisico, la mia sensibilità ad arrestare, condannare erano un fardello troppo pesante. Ed intanto avevo acquisito, attraverso la frequentazione scolastica, una esperienza complessiva più idonea a lavorare prima che i reati vengano commessi, per evitarli, piuttosto che dopo, per punirli. Con tutto il rispetto, la stima, l’affetto per i miei colleghi, ritengo di essere fatto per stare fra i ragazzi, che mi fanno crescere giorno dopo giorno, costringendomi a mettermi in discussione, a dubitare delle mie certezze, a concretizzare nel quotidiano i valori costituzionali. Oggi questi bambini e adolescenti danno un senso alla mia vita. Dopo quindici anni al nord, sono tornato nella mia terra e ci vivo da diciotto. All’inizio volevo cambiare tutto e subito: ci credevo! Con gli anni ho compreso che Torre può farcela con un cambiamento graduale, anche lento, ma costante. Attore ne deve essere il popolo, nelle sue diverse componenti, soprattutto quelle che hanno maggiori responsabilità, come i politici, gli imprenditori, i commercianti, i sindacati, i professionisti, gli artisti, il mondo della scuola, dei giovani, l’associazionismo… la Chiesa! Se i cittadini si disinteressano – non dovrebbero ma spesso lo fanno - sicuramente le categorie sociali più avvertite non possono permetterselo, hanno il dovere morale di risolvere e prevenire problemi ed ostacoli, di guardare più lontano, di costruire il presente, prima ancora che il futuro. Ho utilizzato, caro Vescovo, il verbo costruire, non distruggere; costruire qualcosa, non agire contro qualcuno. Ogni fascia sociale potrebbe ideare e praticare strade percorribili di cambiamento, senza pretendere che i suoi membri diventino santi od eroi, solo che si adoperino per tutto quello che persone normali possano fare in una realtà come la nostra. Penso che ognuno potrebbe assumere atteggiamenti sempre più distanti dalla criminalità; ad esempio non comprare oggetti prodotti dai camorristi (dvd, cd, videogiochi, borse, suppellettili…), non avere con loro rapporti imprenditoriali, commerciali, professionali… politici… religiosi! Nella massima umiltà e consapevole della probabile erroneità delle mie proposte, vorrei partire dalla Chiesa, che ha delle punte elevate ma potrebbe e dovrebbe fare di più; almeno secondo il mio fallibile parere. Potrebbe schierarsi in modo sempre più netto contro le condotte criminali, non minacciando esclusioni o scomuniche, ma analizzando i modelli negativi per evidenziarne i danni nel lungo periodo, a livello individuale e collettivo. Potrebbe inserire in ogni omelia il richiamo ai valori della convivenza, della legalità, della giustizia non in termini enfatici e irrealizzabili nel contesto ambientale, ma attuabili nella quotidianità da una persona normale. Potrebbe addirittura invitare dei laici esperti a tenere qualche omelia, per diffondere la cultura del si può fare. E ancora, organizzare nelle parrocchie incontri sulla legalità per i parrocchiani, per i ragazzi, magari nella chiesa, non nella sala parrocchiale: quasi che le parole venissero da Gesù, dall’altare. Mi ronza poi nella testa un decalogo del buon cattolico, un elenco ragionato ma vivo, di comportamenti legali non criminali, in affermativo non in negativo, un invito alla correttezza non un divieto contro il peccato… insomma un documento intriso d’amore, non di timore, a vantaggio proprio e altrui, della comunità. Caro Vescovo, non voglio tediarLa analizzando una per una le componenti sociali più avvertite, ma qualche riflessione propositiva sulla politica vorrei avanzarla. La sua maggiore colpa, secondo me, è il clientelismo. I politici locali, salvo eccezioni, sostengono che il clientelismo non ha valenza negativa ed è essenziale nell’azione politica; lo identificano nell’aiutare, anche con sacrificio del proprio tempo, le persone deboli o inesperte a districarsi nella burocrazia. Ma questo non è clientelismo, è umanità, solidarietà! Diverso è il caso del politico che, per aiutare una persona, viola il diritto di un’altra. Sono poi turbato dalla virulenza degli scontri personali. Negli ultimi decenni ciascun politico, sempre col beneficio delle eccezioni, ha impegnato un’altra parte cospicua del suo tempo in lotte di potere all’interno e all’esterno del suo partito, trascurando la città. Sto esortando tutti i politici che incontro a dimenticare le pugnalate, subite ed inferte, per riannodare legami, allo stato assenti, con un unico scopo: l’interesse generale! In fondo si tratta solo di individuare, per la politica e le categorie sociali più responsabili, percorsi ragionevoli che, senza ignorare la realtà, rifuggano dalla cultura del non si può fare per sostituirla con quella secondo cui, anche se un po’ per volta, si può. Caro Vescovo, come avrà notato, non ho le capacità per realizzare le idee, ma le diffondo, perché sono più contagiose delle malattie e a volte condizionano la storia più dell’economia. Forse sono un sognatore, ma, a furia di sognare e raccontare sogni, qualcuno si è avverato! Con profonda stima e, se mi consente, con affetto, Michele Del Gaudio