A cura di Antonio Papa

Una ragazzina di dieci anni con un talento incredibile per il calcio.

È quello che si raccontava a metà degli Anni Sessanta quando i passanti guardavano increduli quella piccola bambina, Maria Antonietta Cherillo, alle prese con un pallone, tra dribbling e finte che mandavano in confusione, imbarazzando non poco, i suoi coetanei maschietti.

I campetti dove si “esibiva” la piccola Maria erano gli spazi nei pressi dell’abitazione della sua famiglia, tra piazza Ernesto Cesaro e la Chiesa del Carmine, sempre con l’assidua presenza di curiosi e passanti che si fermavano per acclamare le sue incredibili azioni.

La fama di questa bambina prodigio iniziò a diffondersi nell’intera zona vesuviana e, in qualche occasione, ci furono degli osservatori che vennero a visionare la sua tecnica, i suoi scatti felini e i funambolici dribbling, più per curiosità che per altro, visto la quasi totale assenza del movimento calcistico femminile in zona.     

Maria era nata nel 1955, alla fine degli anni Sessanta si trasferì con la famiglia in Lombardia.

La nuova destinazione agevolò in maniera determinante la sua esplosione nel mondo del calcio e ne beneficiarono le squadre che riuscirono ad ingaggiarla.

Gli inizi col Gommapiuma Meda, una delle compagini più forti ed attrezzate del pioneristico calcio femminile italiano, poi il passaggio al Milan con cui vinse uno scudetto e una Coppa Italia, l’approdo al Piacenza, l’arrivo alla Lazio con cui vinse un’altra Coppa Italia segnando in finale contro il suo ex Milan, l’esordio in Nazionale incorniciato da altre partite in cui si distinse per assist e marcature.

Questo fu il bellissimo percorso calcistico della nostra Maria Antonietta nell’élite del calcio italiano.

Fino ad agosto 1977, quando durante un allenamento con la Lazio si sentì male.

Tutti pensarono che il dolore fosse dovuto ad un’epatite virale.

Trasportata all’ospedale, il Policlinico di Roma, il verdetto delle analisi fu spietato.

Il primo a diagnosticarlo fu il dott. Ernesto Alicicco, medico della squadra, che ammise la propria profonda delusione per non aver potuto fare niente per salvarla. “Fui profondamente addolorato nel constatare l’incurabilità di Maria Antonietta. Da un punto di vista medico posso dire che lei fisicamente e tecnicamente era inferiore a pochi. Una ragazza molto fiduciosa ed estroversa, con la quale era un piacere stare in compagnia, sempre entusiasta e piena di vita. Purtroppo ci sono casi in cui la medicina può poco o nulla…”.

Segnò il suo ultimo gol al Catania, a soli 23 anni, una rete favolosa con uno stacco di testa imperioso.

Poi, il dramma finale, il ricovero al “Fatebenefratelli”.

Mesi di angosce, paure, timori, ma in ospedale era lei a tirare su di morale le amiche che non le fecero mai mancare il loro supporto, la loro presenza.

Il regalo più bello fu quando le ragazze della Lazio gli portarono il pallone coperto di firme della vittoria contro il Valdobbiadene, che quell’anno vinse il campionato italiano, perdendo soltanto contro la Lazio.

Fu una partita disperata e coraggiosa ma le ragazze romane lottarono e vinsero per uno a zero proprio per regalare l’ultima gioia a Maria Antonietta..

Si spense il 6 dicembre del 1978.

Italo Quintini, uno dei primi dirigenti di calcio femminile degli anni Settanta, in una intervista di anni fa, la ricordava così: “Centravanti e ala destra molto dotata, con però la mania dei dribbling, ne scartava una, due e poi si fermava per scartarla ancora. Un po' lavativa in campo, ma quando era in giornata risolveva la partita da sola!”

Anche a distanza di tanti anni restò vivo il suo ricordo nelle squadre in cui aveva militato, ancor di più nella Lazio, tanto che ad ogni vittoria della squadra romana, immancabilmente, partiva la dedica alla più forte di tutte loro.

Lei era Maria Antonietta Cherillo, da Torre Annunziata.