A cura della Redazione

L’attività vulcanica rappresenta una minaccia concreta per molte regioni del mondo, e il territorio campano, con il Vesuvio e i Campi Flegrei, è tra le aree a più alto rischio. In questo contesto, la meteorologia gioca un ruolo cruciale nel monitoraggio e nella gestione delle emergenze, aiutando a prevedere la dispersione delle ceneri, i fenomeni atmosferici indotti dall’eruzione e l’impatto sulle operazioni di soccorso. Per approfondire queste dinamiche, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Vincenzo Capozzi, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell'Università degli Studi di Napoli "Parthenope". Capozzi, esperto di meteorologia radar e ricostruzione climatica storica, ci ha fornito una panoramica dettagliata sui meccanismi meteorologici che entrano in gioco in caso di un’eruzione vulcanica, nonché sulle strategie di prevenzione e monitoraggio fondamentali per mitigare i rischi.

Impatti meteorologici di un'eruzione vulcanica

In che modo un'eruzione del Vesuvio o dei Campi Flegrei potrebbe influenzare il clima locale?

«Un’eruzione del Vesuvio o dei Campi Flegrei potrebbe esercitare un impatto non trascurabile sulle condizioni meteorologiche locali, legato principalmente all’emissione, in atmosfera, di ceneri e gas (in particolare anidride solforosa). Questi determinerebbero una riduzione dell’irraggiamento solare e, di conseguenza, una diminuzione della temperatura. Per un certo arco temporale, dunque, variabile da pochi mesi ad un paio d’anni a seconda dell’entità dell’eruzione, l’aria sarebbe più fredda del normale. La portata di tali anomalie di temperatura e la loro estensione spaziale dipenderebbero dalla tipologia e dall’intensità dell’eruzione. In particolare, il Vesuvio tende, in genere, a produrre eruzioni di media intensità, che hanno un impatto tangibile solo su scala locale. I Campi Flegrei, invece, sono potenzialmente in grado di generare un’eruzione molto più violenta, i cui effetti sarebbero apprezzabili su scala continentale se non addirittura emisferica. Ad esempio, l’eruzione più violenta dei Campi Flegrei, occorsa circa 39000 anni fa, determinò una diminuzione della temperatura nell’Emisfero Settentrionale di 3-4°C».

Quali fenomeni atmosferici potrebbero verificarsi in seguito a un'eruzione, come la dispersione delle ceneri vulcaniche?

«Durante un’eruzione vulcanica, le ceneri vengono disperse in atmosfera sino ad un’altezza, in genere, di 10-15 km (possono dunque raggiungere la bassa stratosfera). La dispersione è ovviamente regolata dai venti, in particolare da quelli d’alta quota, che possono trasportare le ceneri sino ad una distanza di centinaia o migliaia di km dal luogo dell’eruzione. Tra i fenomeni atmosferici associati ad un’eruzione figurano, innanzitutto, i pirocumuli (in gergo meteorologico, cumulonimbus flammagenitus): si tratta di imponenti nubi a sviluppo verticale generate dai processi convettivi causati dall’intenso calore associato all’eruzione. Somigliano, per intenderci, ai noti cumulonembi, le nubi che causano fenomeni a carattere temporalesco. I pirocumuli possono produrre precipitazioni, anche di forte intensità, e scariche elettriche.

È opportuno menzionare anche le piogge acide: i gas che caratterizzano un’eruzione vulcanica, come l’anidride solforosa, combinandosi con il vapore acqueo sono in grado di produrre precipitazioni acide, che provocano danni a suoli, piante, abitazioni e risorse idriche. L’energia rilasciata da un’eruzione, inoltre, può generare, soprattutto ad alta quota, turbolenze e temporanei rinforzi del vento».

Quali condizioni meteorologiche potrebbero aggravare gli effetti di un'eruzione sulla popolazione e sull'ambiente?

«Le condizioni meteorologiche possono senza dubbio giocare un ruolo cruciale nell’aggravare (o in alcuni casi mitigare) gli effetti di un’eruzione vulcanica. In particolare, il verificarsi di piogge intense nel corso di un’eruzione vulcanica può appesantire le ceneri vulcaniche, rendendo particolarmente dannoso ed impattante il deposito di queste sulle superfici (tetti, alberi etc.). Inoltre, le piogge intense possono favorire la formazione di lahar: si tratta di colate di fango e detriti vulcanici, dagli impatti potenzialmente devastanti, che scorrono sui fianchi del vulcano. Un altro fattore da considerare è costituito dai venti in quota: nel caso in cui siano particolarmente intensi, essi possono disperdere le ceneri su aree di vaste dimensioni, portando con sé peraltro anche polveri sottili e gas nocivi: gli effetti dell’eruzione sarebbero in tal modo ancor più ampi e significativi, non solo dal punto di vista ambientale ma anche della saluta umana. Gli impatti di un’eruzione possono essere esacerbati anche dalle alte temperature, che aggravano gli effetti tossici dei gas, e dall’eventuale presenza di nebbia, che amplifica l’effetto di oscuramento causato dalle ceneri».

Previsioni e monitoraggio

La meteorologia può aiutare a prevedere il comportamento delle ceneri vulcaniche dopo un'eruzione? Come?

«Sì, la meteorologia riveste un ruolo fondamentale nella previsione del comportamento delle ceneri vulcaniche. In particolare, tramite l’impiego di sofisticati modelli numerici è possibile simulare la traiettoria, la diffusione e la caduta delle ceneri vulcaniche. Tali previsioni, come è facile immaginare, costituiscono un supporto di grande rilievo per gli Enti preposti alla gestione delle emergenze, come la Protezione Civile, l’aviazione e le autorità sanitarie. La capacità, da parte dei modelli numerici, di offrire scenari evolutivi affidabili è strettamente legata alla quantità e alla qualità delle osservazioni disponibili. È dunque indispensabile, nei territori più sensibili e vulnerabili al rischio vulcanico, come quello campano, monitorare le condizioni atmosferiche in maniera capillare, tramite l’impiego di stazioni meteorologiche, radar, profilatori verticali di vento e satelliti».

Quali strumenti e tecnologie vengono utilizzati per monitorare l’impatto meteorologico di un evento vulcanico?

«Al fine di monitorare gli impatti meteorologici di un’eruzione vulcanica è necessario adottare un approccio integrato, che prevede l’utilizzo di dati meteorologici, di dati forniti dagli osservatori vulcanologici locali e dei prodotti di previsione numerica. Per quanto concerne i sistemi osservativi, tra le tecnologie più utili figurano i radar meteorologici, che consentono di individuare le idrometeore (ossia le precipitazioni atmosferiche) e le ceneri presenti in un volume tridimensionale di atmosfera, con un’elevata risoluzione spaziale e temporale. In particolare, i radar dotati delle tecnologie Doppler, consentono di rilevare anche la velocità di spostamento delle particelle (con riferimento sia alle idrometeore sia alle ceneri). Per la rilevazione dei venti, è opportuno adoperare non solo le classiche centraline anemometriche, che forniscono misure dell’intensità e della direzione dei venti al suolo, ma anche profilatori verticali di vento (che effettuano stime della velocità e della direzione del vento nella media e bassa troposfera) e, laddove è possibile, i palloni sonda, che forniscono dati di temperatura, umidità, pressione, velocità e direzione del vento lungo l’intera colonna troposferica. Negli ultimi decenni, inoltre, le capacità osservative sono state considerevolmente ampliate ed estese dai satelliti: strumenti come MODIS, a bordo dei satelliti della NASA Terra ed Aqua, e SEVIRI, che si trova invece a bordo del Meteosat di Seconda Generazione, sono in grado di rilevare la nube di cenere e di monitorarne lo spostamento, nonché di stimare la concentrazione di anidride solforosa».

Esistono modelli meteorologici specifici per analizzare la diffusione dei materiali emessi durante un'eruzione?

«Le simulazioni relative alla diffusione dei materiali emessi durante un’eruzione vulcanica sono effettuate da modelli di dispersione o da modelli accoppiati (chimico-atmosferici). Questi utilizzano come input i dati prodotti dai modelli meteorologici (temperatura, umidità, pressione, venti, precipitazioni etc.) e sono in grado di simulare la traiettoria, la dispersione e la caduta delle ceneri e dell’anidride solforosa. Esistono, inoltre, modelli in grado di simulare dettagliatamente il comportamento della colonna eruttiva, che rivestono un ruolo cruciare per l’inizializzazione dei modelli di dispersione».

Sicurezza e prevenzione

Quanto è importante la meteorologia nella gestione delle emergenze legate a un'eruzione?

«Il ruolo della meteorologia possiamo definirlo cruciale. Conoscere nel dettaglio lo stato delle condizioni meteorologiche e l’evoluzione delle stesse è decisivo ai fini della pianificazione delle misure di allertamento, di evacuazione e di difesa. Come detto in precedenza, infatti, gli effetti di un’eruzione vulcanica, in termini di diffusione, impatto e pericolosità, sono strettamente connessi ad alcuni parametri meteorologici. Nel contesto attuale, il ruolo della meteorologia viene troppo spesso declinato e considerato solo in termini predittivi, con riferimento, per intenderci, agli scenari di evoluzione elaborati dai modelli. La meteorologia, tuttavia, è innanzitutto “osservazione – possibilmente ripetuta con continuità nel tempo - delle condizioni atmosferiche”. Le conoscenze inerenti ad un qualsiasi fenomeno meteorologico e le nostre capacità di prevedere il tempo che farà dipendono, in buona parte, dalle osservazioni che abbiamo a disposizione, in termini quantitativi e qualitativi. Appare dunque indispensabile dotarsi, soprattutto nelle aree più a rischio, di un’adeguata rete di monitoraggio. In questo senso, colgo l’occasione per evidenziare il contributo fornito, nel contesto campano, dall’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Quest’ultima, principalmente per scopi di ricerca, si è dotata di una rete di monitoraggio atmosferico costituita da un radar meteorologico in banda X, che monitora le precipitazioni atmosferiche sino ad una distanza di 108 km dalla città di Napoli, da diverse centraline meteorologiche, di cui una operativa a Montevergine a 1500 m slm, che dunque fornisce misure anemometriche in quota estremamente rappresentative, da un sistema LIDAR, il quale fornisce misure di velocità e direzione del vento nella bassa troposfera, nonché da centraline preposte al monitoraggio della qualità dell’aria. Prossimamente, sarà installato, in Irpinia, un nuovo radar meteorologico che consentirà di monitorare l’evoluzione delle precipitazioni su buona parte del territorio regionale. Come accennato poc’anzi, si tratta di strumentazione adoperata per scopi di ricerca, ma che potrebbe rivelarsi di grande utilità anche per scopi operativi».

Quali strategie possono essere adottate per minimizzare i rischi meteorologici in caso di eruzione?

«È necessario senza dubbio un approccio integrato, che prevede una stretta interazione tra enti meteorologici, enti vulcanologici ed Istituzioni (Protezione Civile). Un approccio che parta innanzitutto da un monitoraggio continuo e capillare, tramite strumentazione convenzionale e sistemi di telerilevamento, che sia in grado di “alimentare” modelli di previsione meteorologica e di dispersione ad elevata risoluzione spaziale e temporale. La grande mole di informazioni fornita da strumenti e modelli costituisce un elemento essenziale per poter pianificare adeguate strategie di prevenzione, reazione e adattamento all’emergenza. In tal senso, è necessario avere adeguata cura anche dell’aspetto comunicativo: informare la popolazione in maniera chiara e tempestiva può fare la differenza in caso di emergenze legate alle eruzioni vulcaniche».

In che modo le condizioni atmosferiche influenzano i piani di evacuazione e le operazioni di soccorso?

«I principali fattori meteorologici di cui tener conto nella gestione dei piani di evacuazione e delle operazioni di soccorso risiedono innanzitutto nella direzione e nell’intensità dei venti, in particolare di quelli in quota. Ad esempio, le vie di evacuazione devono essere pianificate a monte rispetto ai venti dominanti per non condurre la popolazione verso aree contaminate. È necessario inoltre tener conto del rischio di precipitazioni ed anticipare, se possibile, le operazioni nel caso in cui sia in arrivo una perturbazione atmosferica: in caso di pioggia, infatti, come già detto in precedenza, aumenta il rischio di colate di fango nonché il rischio di crolli di tetti ed alberi complice l’inevitabile appesantimento della cenere. La scarsa visibilità e l’eventuale formazione di ghiaccio, con particolare riferimento alle zone montuose, rappresentano ulteriori fattori in grado di condizionare le operazioni di soccorso».

Scenario futuro

Con il cambiamento climatico, il rischio di impatti meteorologici legati a un'eruzione potrebbe aumentare?

«I recenti cambiamenti climatici rappresentano un fattore in grado, potenzialmente, di amplificare gli effetti di un’eruzione. Il riscaldamento globale, infatti, aumenta il rischio di piogge torrenziali e, di conseguenza, il rischio che i depositi di cenere e i materiali piroclastici possano trasformarsi in colate di fango devastanti. In determinati contesti, si pensi ad esempio ai vulcani Islandesi o a quelli situati nelle Ande o in Alaska, il riscaldamento globale sta accelerando la fusione dei ghiacci, incrementando pertanto il volume d’acqua coinvolto nei processi che portano alla formazione dei flussi di detriti. Il cambiamento climatico sta avendo inoltre un impatto anche sugli schemi di circolazione di atmosferica di grande scala, che potrebbe tradursi, in determinati contesti, in una modifica del regime dei venti: vi è dunque il rischio che aree finora escluse dai piani di evacuazione vengano colpite inaspettatamente dalla nube di ceneri e gas prodotta da un’eruzione vulcanica.

Quali misure preventive potrebbero essere migliorate per affrontare meglio un'eventuale eruzione?

Per quanto concerne le questioni di natura meteorologica-ambientale, appare indispensabile potenziare ulteriormente le reti di monitoraggio, attraverso, ad esempio, l’installazione di stazioni meteorologiche ad alta quota e di sensori finalizzati al monitoraggio di gas, particolato atmosferico e piogge acide. Sono inoltre necessari, soprattutto nel contesto campano, significativi investimenti nel settore della formazione e della ricerca, al fine di dotare gli enti e le istituzioni di nuove figure professionali, soprattutto nell’ambito della meteorologia e della vulcanologia, nonché di nuovi strumenti che possano supportare la gestione delle emergenze.  Ritengo sia inoltre fondamentale potenziare i sistemi di comunicazione preventiva e di intraprendere con maggiore frequenza iniziative tese a formare la popolazione sulle conseguenze di un’eventuale eruzione vulcanica».

Esistono esempi di gestione efficace degli impatti meteorologici in eruzioni recenti nel mondo?

«Sì, è possibile citare diversi casi in cui la gestione degli impatti meteorologici legati a un’eruzione vulcanica è stata particolarmente efficace, grazie a una buona integrazione tra monitoraggio vulcanico, meteorologia, protezione civile e comunicazione pubblica. Per quanto riguarda l’Italia, degne di menzioni sono le eruzioni dell’Etna verificatesi nel 2021 e nel 2023: la proficua interazione tra INGV, Protezione Civile, Servizi meteorologici regionali ed ENAC ha ridotto al minimo i disagi presso l’Aeroporto di Catania, che sovente viene interessato dalla nube di cenere. In ambito internazionale, è opportuno citare il caso dell’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull, avvenuta nel 2010. La nube di cenere espulsa a seguito di questa eruzione interessò, a causa dei venti in quota, buona parte dell’Europa. Tramite l’uso di modelli meteorologici e di modelli di dispersione fu possibile gestire in maniera tempestiva gli impatti della nube sul traffico aereo».

 

L’intervista con Vincenzo Capozzi ha messo in luce l’importanza cruciale della meteorologia nella gestione delle emergenze vulcaniche, evidenziando come il monitoraggio costante e l’integrazione tra strumenti previsionali e dati atmosferici possano fare la differenza nella protezione della popolazione e dell’ambiente. Il territorio campano, con il Vesuvio e i Campi Flegrei, richiede strategie avanzate e un approccio multidisciplinare per affrontare le potenziali minacce legate alle eruzioni.

Capozzi, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell'Università degli Studi di Napoli "Parthenope", ha dedicato la sua carriera allo sviluppo di strumenti innovativi per il rilevamento meteorologico, con particolare attenzione alle applicazioni radar per la previsione di fenomeni atmosferici estremi. Grazie alla sua attività scientifica, che spazia dalla meteorologia radar alla ricostruzione climatica storica, ha contribuito a potenziare le capacità di monitoraggio in Italia, collaborando con istituzioni di eccellenza come il CNR-ISAC, CETEMPS e la Protezione Civile.

Il suo lavoro rappresenta un valore aggiunto nel panorama scientifico nazionale, fornendo strumenti concreti per la comprensione dei fenomeni meteorologici e per la prevenzione di rischi legati alle eruzioni vulcaniche. Investire nella ricerca e nell’innovazione, seguendo l’esempio di esperti come Capozzi, è la chiave per affrontare le sfide del futuro e garantire una maggiore sicurezza nelle aree a rischio.

VINCENZO ROSARIO MELLONE