Ogni anno, il 2 novembre, la Chiesa celebra la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Non si tratta di un semplice rito di memoria, ma di un atto di fede e di carità che ci unisce in modo profondo a coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede. In questa giornata, il dolore si trasfigura in speranza, e il ricordo si fa preghiera.
La commemorazione dei defunti affonda le sue radici nella Scrittura e nella Tradizione. Nel Secondo libro dei Maccabei, si legge che Giuda Maccabeo “fece fare un sacrificio espiatorio per i morti, affinché fossero assolti dal peccato”. Questo passo è tra i fondamenti biblici della pratica dei suffragi, cioè della preghiera e delle opere offerte a Dio per la purificazione delle anime dei defunti. Anche il libro di Tobia sottolinea la pietà verso i morti: “È cosa buona fare l’elemosina, pregare, seppellire i morti”. La cura del corpo, il rispetto per la salma, sono espressioni di una fede che riconosce nel corpo il tempio dello Spirito Santo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ribadisce questa dimensione di comunione tra vivi e defunti. Al n. 958 si legge: “La preghiera per i defunti, affinché siano purificati, è una pratica che la Chiesa raccomanda con insistenza. Essa è anche un modo di esprimere la comunione dei santi”. E al n. 1032: “La Chiesa fin dai primi tempi ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto suffragi in loro favore, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio”.
Nel Vangelo, Gesù stesso mostra attenzione e tenerezza verso i defunti. Piange per la morte di Lazzaro, si ferma davanti al dolore della vedova di Nain , e promette al buon ladrone: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Questi gesti rivelano che la morte non è la fine, ma il passaggio alla vita in Dio. I defunti vivono in Lui, e noi possiamo ancora amarli, pregare per loro, affidandoli alla misericordia divina.
La commemorazione dei defunti è dunque un atto di giustizia, di amore e di fede. È giustizia, perché riconosce la dignità della persona anche oltre la morte. È amore, perché ci fa prossimi a chi non può più parlare, ma attende il nostro ricordo. È fede, perché ci ricorda che “se moriamo con Cristo, vivremo con Lui”.
Fare memoria degli antenati è una pratica universale, presente in tutte le civiltà. Il libro del Siracide lo afferma con solennità: “Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione” (Sir 44,1). Ricordare chi ci ha preceduto è un atto di gratitudine e di identità, che ci radica nella storia e ci apre alla trascendenza.
A Torre Annunziata, come in tante comunità cristiane, questa giornata è vissuta con intensità: visite ai cimiteri, celebrazioni eucaristiche, momenti di raccoglimento. È il segno di una città che non dimentica, che crede nella vita eterna, e che si affida alla speranza cristiana.
In questo contesto, il cimitero assume un valore particolare: non solo luogo di sepoltura, ma spazio sacro e bene pubblico da custodire con rispetto e riverenza. È importante promuovere il senso civico in tale luogo, educando alla compostezza, al pudore e alla preghiera. Ogni gesto, ogni parola, ogni atteggiamento deve riflettere la consapevolezza che lì riposano persone amate, che attendono la pienezza della vita in Dio. Il silenzio, la cura degli spazi, la dignità dei comportamenti sono segni di una civiltà che sa onorare la memoria e vivere la speranza.
Il Catechismo, al n. 1688, ricorda che “la visita al cimitero è occasione per rafforzare la fede nella risurrezione e per esprimere la comunione con i defunti”. È un gesto che educa alla speranza e alla responsabilità, che ci invita a vivere con profondità e a custodire la memoria come luogo di incontro tra terra e cielo.
Come scriveva sant’Agostino: “Non piangete la mia morte, celebrate la mia vita. Io non sono lontano, sono dall’altra parte del cammino”.
(Foto Vatican news)
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