A cura della Redazione

Era il 23 novembre 1996, esattamente 29 anni fa. Un commerciante trentacinquenne, Raffaele Pastore, apre il suo negozio di mangimi per animali in via Carminiello a Torre Annunziata.

Ore 18:30. Due uomini con il volto coperto da passamontagna entrano e fanno fuoco. Raffaele muore. Qual è la colpa di Raffaele? Perché è stato ammazzato? Aveva detto “NO” al racket e aveva denunciato gli estorsori.

Raffaele non era solo un commerciante, era marito e padre di due bambini, allora di 7 e 2 anni.

Da quel maledetto giorno sono trascorsi ben ventinove anni e la forza di quel gesto ogni anno viene ricordata. Raffaele entra nella lista delle vittime innocenti della camorra (come altri torresi prima e dopo di lui), entra nel libro della memoria. A parlare di lui, quella donna che ha dovuto dire addio al suo uomo troppo presto, Beatrice Federico

In un post su Facebook, pubblicato ieri, 23 novembre, la donna lo ricorda così:

Oggi il mio cuore torna, come sempre, a mio marito Raffaele Pastore Un uomo che ha trovato il coraggio di denunciare il racket quando farlo significava rischiare tutto. Un uomo che ha scelto la verità invece della paura e quella scelta gli è costata la vita.

Io non dimentico non voglio, non posso. La memoria è ciò che ci tiene umani, è ciò che impedisce all’ingiustizia di vincere davvero. La memoria è un faro, e io voglio che la luce di Raffaele continui a illuminare, a svegliare, a scuotere.

Perché la cultura della legalità, del rispetto, del coraggio non nasce dal nulla, nasce dalle storie come la sua, che gridano anche quando il mondo vorrebbe farle tacere.

Nasce da chi ascolta, da chi impara, da chi decide che l’indifferenza non è un’opzione.

A chi oggi guarda alla sua storia dico: prendete la sua forza e fatene un impegno, non lasciate che il suo sacrificio diventi una pagina chiusa. Fate in modo che diventi un seme, un atto, una scelta quotidiana.

Raffaele vive nella mia voce, nella mia memoria, e in chiunque, oggi, abbia il coraggio di scegliere la giustizia. Sempre.