Contrasti tra le donne del clan Gionta: condanne con sconti per le quattro imputate, in due tornano in libertà su provvedimento della Corte d'Appello di Napoli. Il secondo grado di giudizio consegna una sentenza più lieve per le donne del clan Gionta di Torre Annunziata che erano a processo a vario titolo per usura, estorsione e lesioni aggravate dal metodo mafioso.
Per Carmela Gionta, 70enne sorella del boss fondatore della cosca Valentino difesa dall'avvocato Mauro Porcelli, è arrivata la condanna a 6 anni di reclusione per usura, 2 in meno del primo grado. Per Annunziata Caso, moglie di Aldo Gionta, 5 anni di carcere per associazione mafiosa. Per la figlia Gemma Gionta e per la madre Pasqualina Apuzzo, assistite dal collegio difensivo formato dai penalisti Roberto Cuomo, Domenico Nicolas Balzano e Mariella Macera, infine, un anno di reclusione, pena sospesa e ritorno immediato in libertà (2 anni e 8 mesi in primo grado).
Per ciò che riguarda “zia Carmela”, la Dda gli contestava il reato di usura ed estorsione per due prestiti a strozzo concessi ad altrettanti imprenditori di Torre Annunziata. Le cifre prestate erano di 10mila e 15mila euro con tassi d'interesse tra l'8 e il 10%. Il suo arresto risale al 21 luglio 2015 e all'interno del processo unico Carmela non si è solo difesa dalle accuse avanzate dall'Antimafia ma è comparsa anche come persona offesa per l'altro filone del processo.
L'accusa ai danni di Caso, Gionta e Apuzzo era, infatti, di lesioni aggravate per il ferimento di Carmela Gionta, appunto, avvenuto il 18 luglio 2015. Decadute tutte le aggravanti, le tre donne hanno ottenuto un ulteriore sconto, nonostante fossero accusate dall'Antimafia di aver aggredito in quell'occasione la zia a Largo Grazie con una coltellata al viso per aver sperperato i soldi del clan. Un raid per “divergenze” sulla gestione della cassa del clan e delle estorsioni che valse l'arresto.
Dario Sautto
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