A cura della Redazione
L’ultimo editoriale del carissimo Massimo Corcione, al quale sono grato per le affettuose parole rivoltemi, mi ha caricato, mi ha ridato fiducia in Torre. A volte dico che sono felice individualmente ma demoralizzato socialmente: alla mia serenità familiare, amicale, lavorativa, in particolare fra gli studenti, si contrappone una impotenza verso la società. Forse le mie idee, proposte, condotte sono errate, ma comunque osservo una comunità, che nella sua grande maggioranza è inerte, o addirittura manifestazione vivente di una realtà totalmente contraria allo stare bene tutti insieme, ancorata piuttosto ad un “presunto” stare bene da soli a danno degli altri. Quel che più mi deprime è la sottovalutazione dell’occasione storica che ci è capitata. Fino ad un paio di anni fa potevamo denunciare l’assenza dello Stato: da una parte la criminalità ostentava la sua padronanza del territorio finanche su internet, dall’altra la Procura della Repubblica, massima espressione della presenza dell’autorità statale, era colpita da uno scandalo miliardario, che coinvolgeva anche il procuratore del tempo. Oggi il cambiamento è radicale: lo Stato c’è talmente che qualcuno comincia a dolersi della sua palpabile diffusione fra strade e vicoli. Certamente dovrà affiancare alla repressione la prevenzione, l’occupazione, le infrastrutture, ma ha invertito la rotta: Torre gli sta a cuore. Allora perché la città non risponde? Forse sbaglio, ma fino agli anni ’60, ’70, c’era nei vari tasselli del contesto sociale una bella fetta sana, che produceva economia, lavoro, servizi, cultura, solidarietà. Ricordo in ogni categoria gruppi di persone stimate, affidabili, credibili: fra gli avvocati, gli ingegneri, gli insegnanti, i commercianti, gli artigiani, gli operai, gli studenti, gli stessi politici. Ora si intravede a mala pena qualche cane sciolto, magari criticato, se non sbeffeggiato, dai colleghi, quasi l’onestà sia diventata un’ingenuità, un difetto. A mio parere bisogna ricostituire un tessuto sociale sano, gradualmente, non in un giorno, ma occorre che ognuno ripensi al suo modo di lavorare e di vivere, anche a come fa il genitore o il figlio per affiancare lo Stato, senza rintanarsi nel solito lagnoso vittimismo. Altrimenti il tempo passerà, i nostri figli continueranno ad andare via e noi continueremo, senza accorgercene, a seguire il nostro funerale. E invece no, non può non esserci una percentuale sana, per quanto modesta, in ogni ambito sociale. Non possono non esserci dieci commercialisti, dieci idraulici, dieci lavoratori, che hanno ancora voglia di scommettere su Torre. Forse si sono rintanati nelle loro famiglie, non si conoscono fra loro, non sono organizzati, ma al di là di ogni colore politico, di ogni obiettivo individuale, io sono convinto che queste persone ci sono. È a loro che mi rivolgo, per motivarli, o rimotivarli. Basta cominciare ad esternare il proprio modo di essere e di pensare, a dire sì o no ad alta voce, a prendere contatto con gli altri. Ed ecco che il peschereccio parte. So che Massimo è scettico sull’efficacia dell’iniziativa che sto lanciando, non si aspetta molto dagli adulti. E la sua valutazione è riscontrata dai pochi incontri che ho avuto nelle ultime settimane con esponenti di alcune categorie: c’è sconforto, rassegnazione, integrazione nel sistema malato. Ma è anche in questa direzione che vorrei impegnare un po’ del mio tempo, se non con ottimismo, almeno con possibilismo. Ciao, Massimo; grazie per la tua “presenza” a Torre! MICHELE DEL GAUDIO