A cura della Redazione
Pubblichiamo la lettera fattaci pervenire da un detenuto torrese della Casa Circondariale di Massa Marittima e rivolta a mons. Raffaele Russo, rettore della Basilica della Madonna della Neve: Carissima redazione, in primis, voglio ringraziarvi per il giornale TorreSette che puntualmente ricevo. Grazie a voi posso “rinfrescare” la mia memoria di notizie della mia città. Faccio presente che TorreSette è anche oggetto di studio e riflessione di noi detenuti nel nostro laboratorio culturale settimanle. Gli argomenti trattati dagli autori degli articoli sono molto apprezzati per come si raccontano. Quindi, un “grazie” anche da questi detenuti diventati vostri affezionati lettori. Inoltre, desidero, se mi è concesso, pubblicare una “lettera aperta” a mons. Raffaele Russo, rettore della Basilica Pontificia della SS. Madonna della Neve. Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti voi per questa vostra piccola luce che illumina, nel suo supplire, le lacune di questa città in termini di informazione. Grazie di vero cuore. Egregio mons. Russo, mi chiamo Francesco e sono un giovane detenuto ristretto nella Casa Circondariale di Massa Marittima, in provincia di Grosseto. Nel prosieguo di questa mia lettera, mi si perdonino gli errori di grammatica, la sintassi e l’espressione in italiano di questo scritto, cose che ho dovuto apprendere da “autodidatta”, dopo la scuola frequentata nel corso delle mie detenzioni. Tutto questo per dirLe qual è il mio rapporto che ho avuto con la scuola. Quindi, stendiamo un velo pietoso sulla mia infanzia e sulla scuola. Il motivo di questa lettera è per le tante volte che ho desiderato conoscerLa, per le tante cose giuste e costruttive che sta facendo per questa città e specialmente per i più bisognosi. Ci voleva proprio la Sua presenza in questa realtà per dare una scossa alle coscienze delle persone. Anche se io, alla coscienza preferisco la consapevolezza perché essa è molto di più della coscienza: la coscienza per me è come uno stagno, tutto si ferma e marcisce. La consapevolezza, invece, è come un fiume, un muoversi di acque nuove e fresche nel loro scorrere. Forse, il filosofo Eraclito nel suo “Tutto scorre” ci voleva far riflettere sulla consapevolezza?! Chissà! Di certo al coscienza è come una fotografia mentre la consapevolezza è come uno specchio: entrambe riflettono un’immagine, solo che la fotografia dà un riflesso d’immagine ferma, inanimata. Lo specchio, invece, ti dà un’immagine viva, presente, del “qui e ora”. Le debbo confessare, caro Don Raffaele, che il mio cammino di reinserimento sociale intrapreso da più di due anni, è stato un po’ “ostacolato” dalla stessa Giustizia che in questi casi dovrebbe garantire, non ostacolare. Io, in questo, so solo che nello scontare la mia detenzione dell’ultimo anno di pena, mi fu concesso di espiarlo in una struttura diversa dal carcere a causa delle mie problematiche legate alla tossicodipendenza. Mi fu sùbito revocato il beneficio per un cumulo di pena di anni cinque, provvedimento nel quale si evidenziava anche la pericolosità sociale in base all’articolo 4 bis. Ritornai, per questo motivo, in carcere. Adesso, non Le vorrei elencare tutta la mia odissea giudiziaria, ma nonostante tutto non ho mollato la mia scelta di continuare nel mio reinserimento perché è questo che io voglio. Le confesso che questa mia scelta è stata dovuta anche ad una riflessione meditata attraverso le parole di Gesù che, ahimé, non l’ho mai considerato in quanto Dio bensì, in una mia libera interpretazione, come un grande filosofo e rivoluzionario dell’amore. Egli, per me, non faceva nessun miracolo ma parlava con parole d’amore e riflessione, le quali ti portavano alla consapevolezza del potenziale del tuo essere. Un esempio, nella mia libera interpretazione: Gesù cammina fra la folla. Un ammalato lo vede e lo invoca. Gesù fa finta di non sentire la sua voce. L’ammalato, allora, invoca il Suo nome più forte. Gesù si ferma, si rivolge all’ammalato e gli dice: “Che cosa vuoi che io ti faccia?”. E l’ammalato: “Voglio che tu mi guarisci!”. L’ammalato, a questa domanda, lo guarda, esita un po’ e poi gli risponde: “Sì, voglio guarire!”. E l’ammalato guarisce! Ecco, Don Raffaele. Il miracolo non c’entra, ma è la consapevoloezza della domanda, in quel “tu vuoi guarire?” che sta il significato. In quel “vuoi” c’è il “puoi” e quando c’è la volontà c’è il potere: volere e potere, d’altronde. Questo ce l’ha insegnato Gesù e non certo chi è venuto dopo di Lui! Ritornando alla meditazione di queste parole che mi hanno aiutato molto, inviterei tanti giovani afflitti e gravati dal malessere sociale a non chiedere a Gesù un miracolo nell’aiutarli, perché la risposta di duemila anni orsono è sempre viva e presente e sta in quel “Ma tu... vuoi guarire?”. Don Raffaele, in questa mia libera interpretazione so di aver dato un’immagine di Gesù un po’ anarchica e filosofica, assai lontana da quella figura che tutti noi conosciamo... Ma è un mio modo di amare Gesù. Ho rivisto l’Orfanotrofio attraverso una foto pubblicata su TorreSette, l’ho rivisto messo a nuovo e rinfrescato da bei colori e dalla pittura. Ho rivisto la mia infanzia in quella immagine dell’Orfanotrofio. Era la mia scuola elementare, ricordo ancora tutti i volti: rivedo così la custode Tommasina, una donna buona e gentile che accoglieva tutti noi, allora bambini, con una carezza sotto l’arco del portone. Rivedo i volti di tanti bambini, le lunghe scale, il piccolo cortile, i giochi, i grandi zaini con le cinghie, portati in spalla, sembravano valige. Riesco ancora a sentir l’odore di plastica quando si andava ad aprirle. Ricordo anche la professoressa Schettino, mi metteva a sedere vicino a lei, dando le spalle agli altri alunni, per non farmi fare “casino”: mi insegnava a fare la “a”, la “b” e a scrivere il mio nome e cognome, mentre gli altri miei compagni stavano assorti nel problema di aritmetica della “signora Rosina che è andata al mercato e ha comprato tre mele e ne aveva persa una per strada”. Credo che la maestra Schettino avesse già capito che negli anni a venire sarei stato destinato a finire in un carcere minorile, per come mi comportavo. Ma è stata sempre buona con me. Anche se certe volte mi sgridava, lo faceva per spronarmi. Poi, un giorno, l’Orfanotrofio chiuse e ci passarono in un’altra scuola elementare vicino al Cinema Metropolitan, ci cambiarono classe, alunni e maestra. Ricordo che tutti noi sentivamo la mancanza della maestra Schettino. Infatti, se con la maestra riuscivo a scrivere qualcosa, con le altre nuove insegnanti per me era diventato difficile scrivere e leggere. La chiusura dell’Orfanotrofio per noi è stata come uno strappo, e rivederlo oggi di nuovo in vita è come rivivere un po’ la mia infanzia: assaporare la magia di quel tempo in cui sognavi di diventare quello che oggi non sei diventato. Che fregatura! Nonostante tutto, Don Raffaele, siamo tutti cresciuti davanti la Chiesa sotto gli occhi della Madonna: quei tre scalini della chiesa che Lei sale ogni mattina, per noi sono stati le panchine della nostra infanzia. In quello spazio era racchiuso il nostro mondo, il nostro centro sociale, la nostra “giungla”. Durante l’infanzia abbiamo capito sùbito da quale parte stare nel sociale, lo capimmo quando i nostri miti erano i contrabbandieri di sigarette inseguiti da finanzieri, carabinieri e polizia che li rincorrevano con scontri di auto, come nei film americani. Finanzieri, carabinieri e polizia erano per noi i “cattivi”. I contrabbandieri erano gli eroi. Togliendo il contrabbando di sigarette dalla piazza è stato commesso un grande errore da parte dello Stato. Era una sorta di ammortizzatore sociale, non si faceva male a nessuno e tutti mangiavano. La droga in città è il risultato, o meglio la sostituzione alle sigarette. Se la statua della Madonna posta nel giardino sulla lunga colonna nello spazio dell’Annunziata potesse animarsi e parlare, direbbe la stessa cosa. Anche Lei ne ha viste di cose e di ingiustizie verso i suoi figli che ha visto nascere e crescere. E se oggi volesse richiamare tutti i suoi figli sotto di Lei, pochi risponderebbero all’appello, perché tanti sono morti e tanti si trovano in carcere. Sono pochi quelli che si sono salvati. Forse, la verità è che anche noi vivi siamo un po’ morti dentro, e forse ha ragione anche Gesù quando dice: “Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”. Don Raffaele, nel silenzio di questa notte ho scritto alcuni spezzoni della mia storia che penso mi avrebbe chiesto di raccontare se noi avessimo parlato da vicino. Da cittadino torrese, Le dico che sono contento di averLa come Ministro di Dio nella nostra chiesa della Madonna della Neve. Spero un giorno di poterla conoscere da vicino. Grazie. Cordiali saluti. Francesco Della Ragione (Dal periodico settimanale TorreSette di venerdì 4 dicembre 2009)