A cura della Redazione
“Eravamo in una situazione di emergenza. Avevamo due alternative: lasciare il percolato in discarica, oppure conferire nei depuratori”. Ma nel primo caso avremmo corso seriamente il rischio di inquinare le falde acquifere e i campi”. L’indagato si è difeso con energia: “Avevamo poco tempo a disposizione - ha sostenuto - il percolato rischiava di tracimare dalle discariche inquinando i terreni e le falde e per questo fu deciso di predisporre il conferimento nei depuratori”. Così, nel corso di un interrogatorio durato oltre cinque ore, il dirigente regionale Generoso Schiavone ha motivato la scelta di smaltire negli impianti di depurazione il rifiuto liquido prodotto dagli sversatoi della regione. Il dirigente è in cella da venerdì 28 gennaio nell’ambito dell’inchiesta condotta dal Nucleo di polizia tributaria e dal N.O.E., che vede agli arresti 14 persone, otto in carcere e sei, fra le quali il prefetto Corrado Catenacci e l’ex vice commissario Marta Di Gennaro, agli arresti domiciliari. L’indagine conta altri indagati, come l’ex governatore Antonio Bassolino, nei confronti dei quali la Procura non ha chiesto provvedimenti restrittivi. Queste le notizie aggiornate al momento prima di andare in stampa. Ma ci fu chi, qualche anno fa, denunciò questa situazione, ottenendo come unico risultato quello di… perdere il posto di lavoro. Parliamo di Angelo Arpino, 50 anni di Torre Annunziata, sindacalista RSA - CISAL ed ex dipendente della Termomeccanica (T.M.E. SpA), società che gestiva il depuratore Foce Sarno, nel quartiere CMI di Castellammare di Stabia. La sua storia inizia nel maggio 2007 alle ore 12,00, giorno in cui alcuni cittadini di Castellammare di Stabia occuparono il depuratore di Foce Sarno per protestare contro lo scarico di percolato nello stesso. TorreSette lo intervistò nel gennaio del 2009 e raccolse il suo sfogo e la sua amarezza per aver perso il posto di lavoro perché, secondo la società, avrebbe “violato i più elementari doveri di fedeltà e diligenza facendo affermazioni pregiudizievoli dell’immagine dell’azienda”. «In qualità di sindacalista - raccontò Arpino al nostro giornale - ero diventato il punto di riferimento dei cittadini e spiegavo loro il funzionamento del depuratore e le eventuali disfunzioni. L’impianto non era munito di pretrattamento del percolato e le analisi del materiale non venivano effettuate all’interno dell’impianto, bensì da laboratori esterni all’azienda. Queste mie osservazioni - continua Arpino - provocarono la protesta dei residenti che si rivoltarono contro la società che gestisce l’impianto di depurazione. Da quel momento è incominciata la mia odissea». Il 24 luglio successivo, la T.M.E. di La Spezia inviava al signor Arpino una contestazione scritta, in cui accusava lo stesso di avere avuto comportamenti scorretti e violenti, e di aver aizzato la folla contro l’azienda. Pertanto, avendone leso l’immagine, veniva sospeso dalle attività lavorative in via cautelare. «Quindi, giorni dopo, il 7 agosto - continua il racconto di Arpino - fu convocata un’audizione per sentire le parti interessate. Io ero rappresentato dal segretario generale della CISAL, Francesco Napolitano, il quale contestò la “contestazione” della società, chiarendo che il mio atteggiamento non era stato “violento” e “volgare” e che non avevo mai leso l’immagine della società. E, pertanto, chiedeva il mio reintegro appellandosi a varie sentenze di Cassazione, che prevedono il reintegro, dopo una sospensione cautelare, entro il termine massimo di dieci giorni». Reintegro che non c’è mai stato, anzi. «Il 4 settembre 2007 la T.M.E. SpA procedeva al mio licenziamento - prosegue l’ex sindacalista - perché il sottoscritto avrebbe violato i più elementari doveri di fedeltà e diligenza facendo affermazioni pregiudizievoli dell’immagine dell’azienda. Questo provvedimento rappresentò per me un vero pugno nello stomaco. Da un giorno all’altro mi trovavo privo del mio lavoro, unica fonte di sostentamento per mia moglie e i miei quattro figli». Vale la pena di ricordare che in seguito alla manifestazione di protesta dei cittadini, fu siglato un accordo tra il Comune di Castellammare, la Regione Campania, il Comitato di Cittadini e la stessa T.M.E. che obbligava a limiti ben precisi lo scarico di percolato nel depuratore. Ma, verificato che nei mesi successivi tale accordo non veniva rispettato, il sindaco di Castellammare ordinò la chiusura del depuratore in quanto “la quantità di percolato sversato era tale da rappresentare un serio pericolo per la comunità”». Angelo Arpino era colpevole, quindi, di aver denunciato tutto questo. Licenziato perché troppo “scomodo”. BENNI GAGLIARDI (Dal settimanale TorreSette del 4 febbraio 2011)