A cura della Redazione
Cento anni. Un intero secolo vissuto tra due guerre mondiali, la caduta della monarchia e la nascita della Repubblica, la trasformazione di Torre Annunziata da città artigiana a vocazione pastaia ad avamposto industriale del Meridione, fino ad arrivare alla crisi degli ultimi trent’anni. Chi meglio di Salvatore Ammendola potrebbe raccontare tutto ciò che è accaduto in questo lunghissimo lasso di tempo. Salvatore ha compiuto cento anni lo scorso 10 febbraio. Sentirlo parlare della sua vita è come leggere un libro pieno di aneddoti e storie, da sfogliare pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo. Salvatore inizia a lavorare all’età di 6 anni e sin da piccolo coltiva la sua passione, che diventerà poi il lavoro di tutta una vita: la pasta. Non solo è stato un abilissimo artigiano della lavorazione pastaia a Torre Annunziata, ma si è occupato anche del funzionamento dei macchinari che venivano utilizzati per produrre la pasta torrese, famosa in tutto il mondo. “Ero una sorta di capo meccanico pastaio”, così ama definirsi Salvatore. Ha lavorato da Monsurrò, Voiello e, ultimamente, da Setaro. E come se non bastasse, tuttora si dedica, per così dire, ad un altro alimento: il pane. Quasi tutte le mattine, infatti, si reca dal celebre panificio “Nunziatiello” di piazza Ernesto Cesàro, dispensando di tanto in tanto consigli utili agli operai che vi lavorano. Salvatore è, infatti, il suocero di Umberto Ariano, decano dei panificatori torresi scomparso anni fa. La sua esistenza è piena di episodi che, al solo sentirli narrare, evocano la bellezza e, perché no, la nostalgia dei tempi addietro che, purtroppo, non ci sono più. “Ho sempre amato il mio lavoro e la mia famiglia. Ma, soprattutto, ho vissuto facendo del bene e da uomo onesto. Pensi - rivolgendosi a me che ho avuto il piacere di intervistarlo - che anni e anni fa mi trovavo per strada quando notai un portafogli pieno di soldi. Allora lo raccolsi da terra e lo portai al posto di guardia (la polizia, ndr), sperando che il legittimo proprietario andasse a reclamarlo. Quando me ne andai incontrai una suora del convento delle Cristo Re, la quale si disperava perché aveva perso un bel po’ di banconote destinate agli orfanelli. Capii che il portrafogli era il suo e la accompagnai dalla polizia per riprenderselo. Da allora, sia gli orfanelli che le suore, ogni qualvolta mi incontravano, mi salutavano con affetto. Per me, ciò, valeva molto più dei soldi”. Ma la vita di Salvatore è ricca di altre storie che testimoniano la sua onestà. “Avevo una trentina d’anni quando ci fu lo scoppio dei carri a Torre Annunziata, nel gennaio del 1946. La gente mi chiedeva di andare nelle loro case distrutte dall’esplosione a recuperare i preziosi ed il denaro che avevano conservato sotto le mattonelle. Io lo facevo senza chiedere nulla in cambio”. Appena dopo la seconda guerra mondiale, a Potenza si svolgeva il mercato nero dei generi alimentari. Lì si recava anche il “nostro” Salvatore. “Un giorno ho incontrato un bambino che piangeva e diceva di aver perso i genitori. Così decisi di portarlo con me. Salimmo su un camion pieno di vino diretto a San Giuseppe Vesuviano e scendemmo a Torre Annunziata. Da quel momento non vidi più quel ragazzino. Trascorsero alcuni anni e il destino volle che, recatomi in via Prota per dei lavoretti, incontrai dei contadini che stavano coltivando la loro terra. Ebbene, d’un tratto vidi un giovanotto. Era proprio quel bambino di Potenza. I genitori mi ringraziarono per ciò che avevo fatto per il loro figlio”. Una storia davvero unica. Ma ce n’è un’altra ancora da raccontare. Salvatore ha avuto anche il privilegio di conoscere di persona il beato Bartolo Longo. “Lo conobbi quando lavoravo in una segheria a Pompei, alle spalle del refettorio. Era un uomo buono”. La vita di Salvatore sembra davvero un film. Una sequenza di ricordi, pensieri ed immagini che si possono toccare con mano. Quando gli chiedo come è cambiata Torre in tutto questo tempo, lui mi risponde: “Prima si incontrava un sacco di gente per strada. Ora sembra un deserto! La popolazione è notevolmente calata rispetto a tanti anni fa. Inoltre, prima si lavorava. C’erano i pastifici, il porto dove ogni giorno giungevano navi che trasportavano grano, legna, ferro, carbone. Era un’altra epoca, molto diversa da quella di oggi”. Salvatore ha trascorso un’intera vita all’insegna del lavoro e dell’amore per gli altri e la propria famiglia, in primis la moglie Marianeve Gallo. Vive circondato dall’affetto della figlia Rosaria, dei tre nipoti e dei due pronipoti. Ha una sorella di 91 anni. In famiglia erano in cinque. Tre fratelli e due sorelle. Uno di questi era don Mario Ammendola, storico parroco della chiesa di San Francesco di Paola. Fervente cattolico, tutte le domeniche si reca nella chiesa di Santa Teresa e San Pasquale per assistere alla messa. Ed è proprio con una messa che sono stati celebrati i suoi cent’anni la scorsa settimana. Tante persone hanno partecipato alla “festa”, donandogli poesie scritte in suo onore. Ha ricevuto perfino una lettera di auguri da Papa Benedetto XVI e dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Comune gli ha donato una targa in cui si legge: “A Salvatore Ammendola, esempio di vita dedicato al lavoro e agli affetti”. Poche semplici parole, che riassumono, però, l’esistenza di un uomo straordinario, un torrese onesto e perbene. DOMENICO GAGLIARDI (dal settimanale TorreSette del 18 febbraio 2011)