A cura della Redazione
Alla prima pagina e a quelle foto scattate in ospedale per le visite pastorali di sindaci ministri e presidenti Francesco Negri avrebbe volentieri rinunciato. Essere un carabiniere non significa per forza inseguire una vita da eroi. Basterebbe un’esistenza normale: un lavoro nel presente, un futuro da progettare, qualche sogno da realizzare. Poi arriva un disperato, estrae una pistola che nessuno lo aveva autorizzato a maneggiare, e comincia a sparare: Francesco e un suo collega di vent’anni più grande, diventano bersaglio di una rabbia, di un’esasperazione, di una follia che non possono trovare giustificazioni logiche. Ma in questi tempi la logica sembra un optional al quale molti rinunciano. E così Francesco Negri, carabiniere scelto da Torre Annunziata, in servizio davanti Palazzo Chigi - il Palazzo per definizione - ha visto la morte viaggiare su quei colpi usciti dalla pistola di Luigi Preiti, fino a ieri uno come noi. Per qualche ora ha tenuto in scacco l’Italia intera, prima che si conoscesse la sua storia: e partito dal Sud in cerca di lavoro e tornato in Calabria quando separazione familiare e perdita del lavoro avevano procurato in lui illusioni impossibili da sopportare. Ma che cosa c’entrano Giuseppe Giangrande e Francesco Negri, il nostro Francesco, con i suoi drammi personali? Ce lo siamo chiesto tutti, mentre arrivavano notizie confuse sullo stato dei due carabinieri e della passante ferita di striscio, colpevole solo di essere lì, nel centro di Roma a mezzogiorno di una domenica primaverile. Per noi di Torre è scattata anche quella curiosità impossibile da trattenere: chi è Francesco? La famiglia abita a via Pascoli, il papà lavorava alla Gori, i fratelli magari li conosco. Questa è solo comprensibile morbosità, resta il dramma vero dell’altro carabiniere, Giangrande, e la grande paura vissuta da Francesco, scampato alla furia di un disperato. A loro due la nostra scontata solidarietà di cittadini, al carabiniere scelto Negri da Torre Annunziata e alla sua famiglia di nostri conterranei anche un abbraccio carico di domande e di un’unica certezza: così non si può andare avanti. Francesco, ti aspettiamo a casa. MASSIMO CORCIONE