A cura della Redazione
Sede del Partito Democratico affollata per l’incontro con Giovanni Impastato (nella foto piccola), fratello del giornalista Peppino assassinato dalla mafia nel lontano 9 maggio 1978. Al tavolo dei relatori, oltre a Impastato, la consigliera regionale Angela Cortese, presidente della Commissione anticamorra della Regione Campania, il sindaco di Torre Annunziata Giosuè Starita, il presidente del forum “Sicurezza e Legalità” del PD, Claudio Bergamasco, ed il segretario cittadino Ciro Passeggia. Ed è stato proprio quest’ultimo a dare inizio ai lavori con la sua relazione introduttiva. «Abbiamo promosso questo incontro - ha esordito Passeggia - convinti che il confronto possa fare crescere l’impegno consapevole, culturale e civico, di tanti contro qualsiasi forma di violenza ed intolleranza. Per questo abbiamo invitato Giovanni Impastato - che salutiamo con affetto e amicizia - che con le vicende drammatiche e tragiche della vita sua e dei suoi cari dimostra come sia possibile cambiare radicalmente il corso della storia; per questo abbiamo chiesto ad Amleto Frosi – presidente della Casa della Solidarietà – di essere qui ed al sindaco Giosuè Starita, a cui va il nostro ringraziamento, di aiutarci a farci comprendere come sia complessa questa battaglia, a tratti ingenerosa, e come è complicato per tanti passare dalle parole ai fatti, dalle intenzioni alle responsabilità concrete, dal protagonismo evanescente alla dura realtà degli atti che producono uno spostamento vero dei rapporti di forza nella lotta alla camorra». Interveniva poi Bergamasco, il quale partendo dalla vicenda "Mafia-Capitale", che ha scosso nelle settimane scorse l’ambiente politico romano, ha fatto un excursus sulla criminalità organizzata (mafia, camorra e ‘ndrangheta). «La criminalità - ha spiegato Bergamasco -, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, ha condizionato la vita politico-istituzionale. E a farne le spese è stato soprattutto il Mezzogiorno, che rischia di essere stretto in un nodo scorsoio. Il fenomeno mafioso – ha concluso – è un problema da affrontare non solo con l’intervento della magistratura e delle forze dell’ordine, ma anche e soprattutto con una mobilitazione collettiva, un investimento educativo e culturale». E da qui la proposta di organizzare a Torre Annunziata la festa della legalità del Partito Democratico. L’intervento del sindaco Starita si è concentrato sul recente sgombero di Palazzo Fienga, roccaforte del clan Gionta. «Era necessario voltare pagina – ha affermato il primo cittadino – per aprire una nuova fase della nostra storia. Il valore simbolico dell’azione intrapresa è che la città vuole cambiare faccia. I ritardi nella crescita sono dovuti essenzialmente al proliferare della malavita. L’Amministrazione comunale in questa fase ha avuto un ruolo di pari dignità con le altre istituzioni. La politica, che sovente viene demonizzata, a Torre ha assunto un ruolo di primo piano. Purtroppo – ha concluso Starita – c’è stato il silenzio assordante di “Libera”, l’associazione anticamorra che ha preferito stare zitta sull’intera vicenda. La data del 15 gennaio (inizio dello sgombero di Palazzo Fienga, ndr) deve rappresentare l’inizio della riscossa della città». La consigliera Cortese si è soffermata sulla “zona grigia”, un’area molto affollata composta da coloro che hanno una mentalità camorristica, pur non essendo camorristi. «Bisogna sconfiggere questa mentalità - ha dichiarato - iniziando dalle scuole, dove vige impunito il bullismo. Ed è bene che a dirlo sia proprio io, che svolgo in modo intransigente la professione di docente. Bisogna sostenere tutti assieme la vicenda della sgombero di Palazzo Fienga, l’unione ci rende tutti più forti e vincenti. Lo Stato c’è, e lo ha dimostrato inviando oltre 500 uomini delle forze dell’ordine per quella che rappresenta un’operazione di grandissimo impatto sociale. A breve - ha concluso Cortese - ci sarà un’udienza della Commissione anticamorra a Torre Annunziata». L’intervento finale di Giovanni Impastato è stato imperniato soprattutto sulla figura di Peppino, il fratello trentenne ammazzato dalla mafia in Sicilia. A circa 37 anni dalla sua morte, il ricordo del giovane giornalista e poeta è ancora vivo nelle parole di Giovanni. «Vorrei che Peppino fosse ricordato per le cose che ha fatto, per il suo impegno attualissimo. Questo non vuol dire rinnegare le sue idee politiche. Che la sinistra radicale rivendichi la sua figura è sacrosanto, ma noi dobbiamo trasmettere quel messaggio a tutti». Peppino, proveniente da una famiglia mafiosa di Cinisi, ma impegnato con la sua “Radio Aut” nella denuncia contro i clan, venne ucciso nello stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, statista democristiano. «Sono convinto di una cosa - continua Giovanni -, così come ne era convinto Falcone: la mafia si può battere in qualsiasi momento perché è costituita da gente fatta di carne ed ossa come noi, però sono anche convinto che per sconfiggerla bisogna fare leva soprattutto sulla cultura mafiosa. È un impegno sociale e culturale che non dobbiamo delegare ad altri, ma assumere noi in prima persona. Se all´interno della nostra società prevalesse la cultura della legalità, la mafia non avrebbe più senso di esistere». Caduto a lungo nell´oblio di un Paese abituato a convivere con fatti e stragi di mafia, Peppino oggi è ricordato da tutti grazie a un film, "I Cento Passi" di Marco Tullio Giordana, una pellicola coraggiosa e intelligente che non sarebbe mai stata girata se non fosse stato per l´impegno, ancor più coraggioso, di un´associazione siciliana nata quando Peppino era ancora vivo (allora si chiamava Centro Siciliano Fiori), e intitolata a lui dopo la sua morte. (anga)