Il silenzio e le troppe parole: nella più violenta contraddizione, a Torre Annunziata si consuma l'eternità dell'ultima tragedia. Apparentemente la città è muta, in realtà non capisce, e si scopre incapace di trovare anche i termini giusti per descrivere che cosa sia successo all'alba di una giornata assolutamente normale. Ma non c'è niente di normale in un palazzo che si è sbriciolato, inghiottendo i suoi pochi abitanti come in un gorgo maledetto. Non è una storia disperata, perfino l'aggettivo fatiscente è apparso poco verosimile; fino a qualche ora prima da quei balconi erano transitati volti speranzosi che qualcosa di buono stava per essere realizzato in quell'angolo dimenticato. Fronte mare, uno degli scorci più belli di Torre che in molti hanno faticato a riconoscere nelle immagini tv, ma un palazzo con poca storia che stava per vivere una svolta epocale.

Si stava lavorando a un disegno ambizioso: il progetto è imploso, come troppo spesso capita da queste parti; proprio quando il corso della vita sarebbe dovuto cambiare. Sottovoce si ripete che anche stavolta è tutta una questione di regole, aggirate, violate, comunque non rispettate: siamo ai sussurri che finora hanno impedito alle grida di esplodere. Ora è tempo di capire, di conoscere la verità; lo pretendono le famiglie di chi non c'è più, di sicuro lo vogliono il nuovo sindaco e chi lo ha preceduto, coloro che hanno votato e coloro che avevano preferito disertare. Siamo in attesa che dai magistrati arrivino parole chiare, definitive. Di silenzio si può anche morire. Di nuovo.

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