A cura della Redazione

Chi c'era, quel 23 novembre del 1980 ricorderà per sempre l'ora del terremoto, le 19,34. E cosa faceva in quel momento. A quei tempi i canali tv si contavano sulle dita delle mani e a quell'ora la Rai trasmetteva un tempo di Juventus-Inter (2 a 1), una delle partite della serie A giocate nel pomeriggio. Chi ne aveva approfittato per una gita fuori porta non poté non notare l'anomalia di una giornata calda, troppo calda per quella stagione. La terra tremò in Campania e Basilicata, con epicentro in Irpinia, per circa 90 interminabili secondi.

Un minuto e mezzo che rase al suolo interi paesi provocando circa 3.000 morti (2.735 le vittime, per l'esattezza), 9.000 feriti, 394 mila senza tetto, 77.342 case distrutte, oltre 275 mila quelle gravemente danneggiate, circa 480 mila le abitazioni lievemente lesionate, 6 paesi completamente rasi al suolo ed altri isolati per giorni. La scossa principale fu di magnitudo 6.9 con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza

Oggi, a 38 anni di distanza, il ricordo di quella giornata e delle settimane che seguirono, caratterizzate da uno Stato impotente dinanzi al disastro, incapace di coordinare i soccorsi, tardivi e insufficienti nonostante lo sforzo immenso messo in campo dai volontari, è tutt'altro che sbiadito. Dei 119 comuni irpini, furono 99 quelli che riportarono danni alle strutture.

Il sisma fu avvertito pesantemente anche a Napoli e provincia, dove la gente si riversò in strada per passare la notte. Restano nella memoria collettiva l’arrivo sui luoghi della tragedia dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini e una prima pagina del quotidiano Il Mattino con l'appello "Fate presto". Oggi, a 38 anni di distanza, dopo sprechi e inchieste, l'Irpinia non conserva, se non in minima parte, le tracce di quel disastro. Così come la Basilicata, dove è stato ricostruito il 90% circa delle abitazioni private (con "punte" del 100% a Balvano, nel Potentino, uno dei centri più colpiti dal sisma con 77 vittime) con un finanziamento complessivo di circa 4.840 miliardi di lire (circa 2,5 miliardi di euro).

Il tempo ha placato le furenti polemiche sull'erogazione dei fondi per la ricostruzione e sulle risorse destinate allo sviluppo industriale: complessivamente, per i Comuni colpiti di Campania, Basilicata e Puglia, sono stati stanziati quasi 30 miliardi di euro (dati 2011 della Camera dei Deputati). Restano ancora code che riguardano le aree industriali della ex legge 219/81 e i fondi destinati ai Comuni. Ma resta soprattutto il ricordo dell'impegno dei sindaci nella ricostruzione e quello dei volontari di tutta Italia in uno scenario post bellico. Le unità militari impegnate nei soccorsi furono 50 mila.

Lo Stato mise in campo anche un robusto piano per la realizzazione di nuove infrastrutture e aree industriali, con uno stanziamento di circa 13 mila miliardi di lire (circa 6,7 miliardi di euro): Nelle aree industriali si insediarono centinaia di imprese (un'ottantina delle quali in Basilicata); molte ebbero vita difficile e ormai sono chiuse senza dare continuità a quel progetto di ricostruzione e sviluppo che il legislatore aveva immaginato per il "cratere" del terremoto e i territori che lo circondavano.

Quel grande sforzo però non è stato completamente inutile: alcune grandi aziende sono tuttora in attività (è il caso degli stabilimenti della Ferrero di Balvano e Sant'Angelo dei Lombardi), altre sono arrivate sulla scia di quei programmi (come la Fiat a Melfi) ma soprattutto in quelle aree industriali, tramontato il sogno della grande industrializzazione delle aree interne, sono tuttora in attività decine di piccole e medie imprese di imprenditori locali.

TORRE ANNUNZIATA - Anche Torre Annunziata subì ingenti danni, soprattutto materiali. La città contò un’unica vittima, a causa di un infarto, e 51 feriti. Si calcolò, nei giorni seguenti al sisma, che circa il 4 per cento delle abitazioni torresi risultarono distrutte e circa 110 edifici ne vennero fuori parzialmente crollati. Continuando con la conta dei danni, nella totalità, 850 edifici furono gravemente lesionati, di cui 270 dichiarati inagibili.

La maggior parte dei danni si ebbero nella zona sud della città, in quel tessuto urbano abitato per lo più da famiglie meno abbienti. Il Quadrilatero delle Carceri, già seriamente danneggiato dalle conseguenze dello scoppio dei carri ferroviari del 21 gennaio 1946, carichi di munizionamento alleato, subì un ulteriore duro colpo, e ancora oggi porta i segni di quel catastrofico evento.

(foto archivio Vincenzo Marasco)

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