A cura della Redazione

Risale al 18 marzo 1944, 75 anni fa, l’ultimo sussulto del Vesuvio.

La montagna, dopo un periodo di modesta attività soprattutto limitata in zona craterica, quel giorno volle far sentire, secondo il suo stile, per un’ultima volta nel corso del secolo scorso la sua indomabile presenza.

Vista la guerra che proprio in quel momento attraversava il Vesuviano, le sofferenze, le privazioni e le difficoltà succedute alle particolari operazioni belliche in corso e agli intensi bombardamenti alleati che colpirono soprattutto l’area costiera della pedemontana vesuviana, per le popolazioni locali il momento dell’eruzione risultò ancora più infausto. Come se non bastasse, dovettero subire pure l’ira funesta del Vesuvio.

Gli effetti dell’eruzione non risparmiarono nessuna delle località adagiate ai piedi della montagna; le distruzioni furono enormi ovunque. Basti pensare alle cittadine di San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma, situate sul versante Nord Occidentale, che vennero soverchiate quasi per intero da una gigantesca colata di lava, che si arrestò il giorno 22 non lontano dal centro abitato di Cercola.

Il prof. Salvatore Russo (1927-2012), autore di vari saggi storici riferiti al territorio di Torre Annunziata, in un nostro colloquio privato raccontò di un’altra colata di lava che si era riversata dal cratere verso il suo versante meridionale prendendo la direzione di Torre del Greco.

Era il 22 marzo del ‘44 e in quel giorno si era recato alla Federico II per cominciare la pianificazione degli studi di Matematica che avrebbe intrapreso a breve. In quel frangente gli arrivò voce che la linea ferroviaria della Circumvesuviana, con cui si era recato a Napoli, era stata interdetta per il pericolo paventato da quest’ultima colata lavica e dall’eruzione che continuava ad incrementare la colonna eruttiva. L’unico rimedio per ritornare a Torre Annunziata fu quello di percorrere a piedi gli oltre 20 chilometri di strada, a tratti affrontati sotto la pioggia di ceneri. Arrivò a Torre a notte fonda!

Mentre da un lato si assisteva impotenti all’avanzata dell’enorme massa lavica che abbatteva e ingoiava ogni cosa lungo il suo passaggio, le popolazioni dei versanti occidentali e meridionali invece si ritrovarono a fronteggiare la maestosa nube eruttiva carica di ceneri, che piovvero in modo implacabile sui centri di Terzigno, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano, Boscoreale, Torre Annunziata, quelli dell'Agro-Nocerino-Sarnese, fino ad arrivare a Salerno per via della spinta delle correnti in quota.

Anche le installazioni militari alleate, presenti su questi versanti, subirono notevoli danneggiamenti. Gli aeroscali di Terzigno e San Gennariello/Ottajano, costruiti dai reparti dell’aviazione statunitense come punto di decollo da cui partivano i bombardieri diretti sul fronte della Linea Gustav - Montecassino, vennero resi impraticabili e ben un’ottantina di velivoli vennero completamente distrutti.

Le testimonianze torresi raccontano che le giornate trascorse tra il 22 e il 24 marzo non videro mai la luce del giorno, e della gente che andava in giro riparandosi il capo con gli scolapasta oppure con pentolame di vario genere, mentre sui tetti ci si apprestava a spalare gli enormi e pesanti accumuli di ceneri brune per non correre il rischio che potessero cedere le “carose”.

Il 24 marzo, i torresi atterriti, come già accadde in passato, accorsero nella Chiesa dell’Annunziata per implorare la Madonna della Neve affinché dimostrasse di nuovo la sua celestiale mano, proteggendo il suo popolo dal quel nefasto momento. Sgomenti, chiesero al parroco Don Emilio Lambiase di portare la Madonna in processione per le vie cittadine. Il sacerdote in un primo momento dovette opporsi per via delle disposizioni vigenti dettate dalle autorità alleate. 

Nonostante il divieto di processioni imposto dagli statunitensi che volevano le strade sgombere da ogni tipo di assembramento per il passaggio dei soccorsi, i fedeli, facendo opposizione a quegli ordini, convinsero il parroco a fare uscire la Sacra Icona e a portarla in processione lungo il corso cittadino fino a Piazza Ernesto Cesàro. Tutti coloro che non fuggirono, nell’oscurità e tra le ceneri che a tratti sommergevano i piedi fin oltre le caviglie, seguirono la processione, ed esortati da Don Emilio ad invocare la Madre Celeste si arrivò finalmente dinanzi al Monumento ai Caduti dove la Madonna venne posata.

D’un tratto, alla fine del pomeriggio, uno spiraglio di luce squarciò il cielo: tra la caligine si era aperto uno spiraglio che cominciò ad illuminare la piazza. Era il segno che l’eruzione si stava placando. I torresi, in giubilo, acclamarono la Santa Protettrice della città che ancora una volta si era mostrata ai suoi figli.

L’eruzione perdurò, man mano scemando, fino al giorno 29. Il 7 aprile, quando le ostilità vesuviane vennero dichiarate esaurite, nell’area del vulcano si contarono 26 vittime a causa dei crolli avvenuti in conseguenza alla crisi sismica e per via dell’eccessivo peso dei prodotti da caduta che si andarono a depositare sui tetti.

In tutto questo ricordiamo un grande uomo di scienze che, nonostante le difficoltà del momento, volle studiare a tutti i costi l’evento: è il prof. Giuseppe Imbò, al tempo Direttore dell'Osservatorio Vesuviano.

La foto che segue, tratta dall'Archivio/Raccolta Marasco (A719-LKP120), è una veduta dell’eruzione da Torre Annunziata, realizzata la mattina del 22 marzo 1944 dal Cp. medico statunitense Leanders Power dal tetto di Villa Lettieri situata in Via Gambardella.

Il particolare che si nota è quello di un piccolo flusso piroclastico che scende sul versante occidentale del Gran Cono, causato dal collasso della pesante colonna eruttiva.