“Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro”. Il grande Eduardo De Filippo non poteva esprimere meglio l’amore che i napoletani hanno per questa bevanda.

Non c’è nulla di più familiare e rassicurante del gorgoglio del caffè che “sale” sul fornello della cucina, mentre il suo delizioso aroma pervade tutta la casa.

C’è chi beve il caffè, e ne gusta i suoi aromi, e chi, invece, fa del caffè la sua ragione di vita, con continui studi, approfondimenti e ricerche per offrire ai clienti una qualità sempre migliore e innovativa.

Paola Campana è una giovane donna di Torre Annunziata, 36 anni (ma ne dimostra molti di meno), figlia d’arte, con una grande passione per il caffè. Il papà Pasquale è titolare dello storico coloniale “Campana” di corso Vittorio Emanuele (tre generazioni di imprenditori).

Paola, insieme a fratello Raffaele ha aperto da un anno una caffetteria a Pompei, in via Sacra, ed è lì che sono andato a trovarla per parlare di caffè, del “balsamo del cuore e dello spirito” come amava definirlo Giuseppe Verdi.

“La mia è una passione ereditata da papà – spiega Paola -.  Io e mio fratello, però, abbiamo migliorato il modo di fare torrefazione, approfondendo le nostre conoscenze, studiando e mantenendoci sempre  aggiornati sulla materia. Esistono corsi di alta formazione per approfondire la conoscenza sul caffè, che prevedono anche esperienze pratiche nelle piantagioni di coltivazione. Dopo esserci formati, abbiamo messo a frutto questa nostra passione proponendo un’idea innovativa, selezionando caffè molto pregiati, raccomandati e certificati dalla Speciality coffee Association, aromaticamente complessi e di alta digeribilità. Sono questi gli ingredienti top dello "specialty coffee", ultima tendenza approdata in Italia e nata nei locali monoprodotto a tutta caffeina nel Regno Unito e Germania”.

Paola è un fiume in piena. Ci spiega che i caffè speciali sono prodotti da piccole e medie realtà di produzione, spesse volte a conduzione familiare o cooperativa (come avviene frequentemente per le famose “fincas” del Sudamerica), dove ognuna coltiva la propria piantagione e riceve un giusto compenso, a fronte di un lavoro d’eccellenza.

“C’è il caffè a gusto di ciliegia, amarena, prugna, arancia, limone, liquirizia – spiega Paola -. Aromi naturali, perché il caffè è un frutto ed in base a dove cresce assume aromi differenti, subendo l’influenza dei terreni e del clima. Sono aciduli, ma allo stesso tempo dolci, non seccano la bocca. Noi, però, siamo poco abituati a questi tipi di caffè, per questo la nostra è una gran bella sfida”.

Le chiedo se la sua caffetteria fa anche caffè tradizionali. “Certamente – mi risponde –, accanto alla linea speciale c’è anche quella tradizionale, ma investiamo sempre in altissima qualità, perché come esistono le “Arabiche” di qualità ci sono anche le “Robuste” di altissima qualità, Quello che è importante è che i baristi comprendano che per stare al passo con i tempi bisogna formarsi, essere sempre aggiornati perché in fondo il caffè è come il vino: prima ero solo bianco e rosso, ora si sceglie un calice per la Regione di provenienza o il vitigno”.

A questo punto Paola mi offre un caffè speciale dell’Honduras. “Dietro ogni caffè – mi dice – c’è una storia. Questo è un caffè particolare ma meno impattante. Cresce a 1300 metri di altezza in un parco nazionale della Celaque che è patrimonio dell’Unesco. Celaque in dialetto honduregno significa box water, perché fornisce l’acqua a tutta la comunità vicina. Questa piantagione viene coltivata da un piccolo, bravo coltivatore appassionato di caffè, Panchito, con un solo braccio perché uno lo perse in uno scontro armato. All’interno della piantagione ha una scuola di formazione e si occupa anche di turismo”.

Ora che so tutto del mio caffè posso berlo, rigorosamente senza zucchero. “Sì – mi dice Paola – questo caffè va bevuto al naturale. Bisogna comunque mescolarlo con il cucchiaino e portare la tazza al naso per assaporarne gli aromi. Al primo sorso sentirai un po’ di acidità, poi al secondo sorso la liquirizia, il tè nero, il miele di castagno. E alla fine ti rimarrà la persistenza di liquirizia. La persistenza è anche il sinonimo di un espresso di alta qualità”.

Ha proprio ragione, ed è anche la prima volta che gusto un caffè sorso dopo sorso.

La nostra chiacchierata volge al termine. Sono le 20,00 e la caffetteria deve chiudere. “Chiudiamo presto – conclude Paola - ma siamo aperti più di 12 ore, dalle 7,30 del mattino alle 8 di sera”.

Saluto il giovane barista Shozib del Bangladesh e mi accingo a salutare anche lei, promettendole di ritornare presto a trovarla. “Non sono sempre qui – mi dice salutandomi -. Mi occupo anche del commerciale per la nostra azienda. Vado in giro per ristoranti e alberghi di una certa importanza, perché il nostro prodotto si rivolge ad una fascia di utenza medio-alta".

Prima di andar via spende parole di elogio per il fratello Raffaele. "Senza di lui non potrei lavorare - conclude -. Lui si occupa della tostatura del caffè e di marketing. Inisieme siamo una squadra affiatata e, spero, vincente".

Vado via con la consapevolezza di conoscere un po’ meglio di prima questa bevanda tanto cara a noi napoletani, e con la convinzione che dietro un buon caffè c’è sempre e comunque una storia da raccontare. Noi ne abbiamo raccontata una...

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