A cura della Redazione

Sono trascorsi ventisette anni dal brutale omicidio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

Era il 23 maggio del 1992, quando sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, viene fatta esplodere una carica di 500 chili di tritolo piazzati in un tunnel al di sotto del manto stradale: è la strage di Capaci. Ad armare la mano di Giovanni Brusca, che azionò il comando a distanza, fu l’allora capo indiscusso della mafia siciliana Salvatore Riina, impegnato nella guerra contro magistrati e forze dell’ordine per ottenere la revisione del maxi-processo, procedimento giudiziario che stava mettendo in ginocchio Cosa Nostra.

«Ricordo perfettamente quel 23 maggio del 1992 – afferma il sindaco Vincenzo Ascione -. Le immagini trasmesse dal Tg2 mi lasciarono senza parole: l’enorme cratere provocato dall’esplosione, la Croma bianca guidata da Falcone e quelle dei suoi agenti di scorta completamente sventrate. Ero sconvolto. Poco meno di due mesi dopo, il 19 luglio, fummo costretti ad assistere alle stesse strazianti scene, con la strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta. Ricordare questi tragici avvenimenti è fondamentale – prosegue il primo cittadino -. Ricordare gli uomini e le donne dello Stato che si sono battuti per salvaguardarne i valori e che hanno lottato contro la criminalità pur avendo piena consapevolezza degli enormi rischi a cui andavano incontro. A tal proposito mi piace ricordare una frase pronunciata da Giovanni Falcone: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno. E’ saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo. Altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”».