Un pomeriggio, uno dei tanti trascorsi sui gradoni dello stadio per non perdere neppure un allenamento del Savoia, un ragazzo dall’accento lontano sorrideva compiaciuto: eppure, in campo non si vedeva niente che potesse apparentemente giustificare la soddisfazione racchiusa in quel sorriso; da una parte c’era la squadra vera allenata da Emidio Zanotti, l’allenatore migliore mai venuto a Torre Annunziata, dall’altra il gruppetto dei soliti noti che provavano a dimostrare che colpire un pallone non era poi così difficile.

Perché, allora, allo spettatore misterioso continuavano a brillare gli occhi? Questa domanda non potevo non fargliela. Avevo dodici anni e una curiosità smisurata, la risposta fu illuminante: “Vedo tanta gente calciare la palla, e un tocco così pulito lo ricordo solo in grandi talenti. Ma quel giovanotto un po’ in sovrappeso non mi pare un calciatore di professione? O mi sbaglio?”. Non si sbagliava l’osservatore speciale, neppure nella valutazione di quella prestazione per caso che con il passaparola divenne un giudizio definitivo: Vincenzo Pinto, tifoso da sempre, da quel giorno fu un’occasione mancata.

Più di mezzo secolo dopo, è stata questa la prima immagine che si è materializzata nel mio cervello quando Peppe Chervino aveva appena concluso la comunicazione più sofferta del nostro dialogo infinito: “Vincenzo è morto”, aveva appena sussurrato con un filo di voce, quasi ancora non avesse la forza di credere che quella notizia fosse davvero reale. 

E questa sequenza di frammenti di memoria vi consegno per celebrare un grande amico, un grande personaggio, una grande persona. Sotto l’aspetto troppo serioso, i silenzi pesanti, il pensiero spesso coniugato al passato c’era sempre tanta gioia di vivere e un amore smisurato per tutto ciò che riguardasse Torre Annunziata, raccontata per oltre quarant’anni su tutte le tribune che lo hanno ospitato come raffinato narratore delle cronache torresi. Ma su tutto sempre ha vinto il Savoia, per lui molto più di una fede. Ha raccontato con lo stesso orgoglio la magica favola della serie B e le vittorie ottenute nella categoria dilettanti. Ora aveva deciso di dedicarsi a un progetto molto ambizioso, inseguendo il grande sogno: riconquistare per il calcio il centro del villaggio, abbandonando definitivamente le periferie.

La maglia bianca è stata la sua pelle. Ricordiamolo così, Vincenzo: di bianco vestito, come un angelo.