Ora che Pasquale D’Amelio ci ha lasciato, è inevitabile passare al momento dei giudizi. Non servono sentenze inappellabili, anche perché non esistono giudici capaci di emetterle. Posso azzardare un aggettivo: è stato spesso condizionato dall’esagerazione. L’esagerazione fa parte del gioco della vita. Non aiuta a vivere meglio, ma rende la sfida quotidiana ancora più appassionante. E la vittoria, quando arriva, più esaltante. E’ stata la regola che ha guidato Pasquale D’Amelio lungo la strada della sua esistenza, tutta spesa alla ricerca della felicità, quella degli altri più che della sua.
Ecco perché il mio primo direttore ha sempre definito il lavoro di cui mi ha fatto innamorare a quindici anni “una missione”, quasi che avesse qualcosa di trascendente che passava oltre gli obblighi che rendono i lavoratori spesso più simili a schiavi che ad eroi. Una esagerazione anche quella, che ha reso maledettamente più complicato il suo compito terreno, trasformandolo in un duello tra bene e male dove l’esito non sempre è così scontato.
Penso (e scrivo) queste parole e davanti agli occhi ripassano le immagini del sogno diventato realtà: La voce della Provincia, una storia destinata a resistere a lungo, ben oltre questi 85 anni vissuti da D’Amelio in 57 stagioni trascorse tra successi e qualche ingiusto affanno. Oggi, nel giorno dell’addio, le istantanee di gioie e dolori, la patina giallastra che avvolge gli aneddoti hanno un retrogusto che ci riporta in tempi lontani. Quando i social non esistevano ancora, ma il passaparola funzionava benissimo. Ricordo l’estate del 1970, una folla auto-radunatasi davanti al bar Ghezzi a Torre Annunziata, aspettando che arrivasse al posto di telefono pubblico la notizia: sarebbero state riconosciute le ragioni del Savoia oppure sarebbe stata legittimata anche dal tribunale sportivo la vittoria sul campo della Turris, poi accusata di illecito sportivo. Un pomeriggio che parve non finire mai. C’ero anche io, poco più che un bambino, là fuori, fin quando venni trascinato dal Direttore nella cabina telefonica ad ascoltare la conversazione con Roberto Gamucci, corrispondente del Corriere dello Sport da Firenze. Pochi secondi, attimi che divennero articolo di celebrazione per la promozione in serie C del Savoia destinato ad uno speciale che arrivò nelle edicole il giorno dopo, virtualmente il via lanciato alla festa che cominciò subito.
Per la Voce un successo arrivato al secondo anno di vita, per D’Amelio la conferma che crederci è molto importante per vincere le battaglie. Ne sarebbero arrivate altre, tante combattute in prima fila, sempre nel nome di Torre Annunziata: da consigliere comunale, poi da assessore, infine da candidato sindaco. Ma il primo alloro non si scorda mai: la promozione a tavolino del Savoia fu un trionfo di gruppo, dagli strateghi del diritto Prisco e Masera, ai giornalisti guidati dal trentenne direttore della Voce, ai tifosi che avevano assistito al dominio di una squadra che resta la più bella mai allestita. Da quel momento il destino della Voce fu piacevolmente segnato: quanti giornali locali avevano provato fino ad allora a scalare le classifiche delle edicole. L’unica graduatoria che garantisse, soprattutto in quei periodi storici, la sopravvivenza.
Ci ritrovammo tutti appesi alla Voce della Provincia, la nostra Voce. Per oltre mezzo secolo ha resistito, rifiutando esageratamente il confronto con il nuovo mondo con la tecnologia avanzata che in nessun modo avrebbe potuto rappresentare un ostacolo insuperabile. E’ mancata l’ultima prova di coraggio, rifiutata con ostinazione esagerata. Per una volta, direttore, forse ha sbagliato. Ma io continuo a dirle: GRAZIE.
Stamattina, giovedì 4 ettembre, alle ore 10,00, i funerali presso la Basilica della Madonna della Neve in piazza Giovanni XXIII a Torre Annunziata
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