Peccato che si sia arrivati al referendum sulla riforma di alcune norme del titolo IV della Costituzione e che non vi sia stato dunque dialogo sul testo, con l’emersione di posizioni terze e di emendamenti, perché su temi complessi un semplice “sì” o “no” non va bene. Il referendum è in realtà uno strumento utile su alcuni temi di principio (Monarchia o Repubblica, divorzio, aborto, eutanasia, se vi si dovesse arrivare), o su questioni di carattere locale (Vogliamo o no una certa strada o altra opera nel quartiere?), ma più è indetto su un tema tecnico, meno è adatto per fare esprimere cittadini privi di competenze specifiche in proposito: molti voteranno dunque pro o contro il governo, mentre il tempo di vita di un Esecutivo non è quello di una Costituzione, che è ben più lungo e attiene perciò a interessi ultramaggioritarî.
Nel merito, non importerebbe tanto che la pubblica accusa si coordini di più col Ministro della Giustizia allo scopo di stabilire (per ogni distretto di Corte d’Appello) quali sono i reati più frequenti e pericolosi da perseguire con priorità in uno specifico territorio e a ciò il Governo destini più risorse ― io vorrei ad esempio molta più applicazione dei riti alternativi e una decisa deflazione della sanzione penale, depenalizzata o trasformata in illecito amministrativo ― visto che quanto interessa davvero a chi varca l’aula di un tribunale è che “il giudice” resti “soggetto solo alla legge” (art. 101) nonché “terzo e imparziale”(111): esso dunque, non il p. m., che infatti per l’art. 107 deve ricevere sì garanzie, ma non necessariamente identiche a quelle del giudice, bensì quelle apprestategli “dalla legge sull’ordinamento giudiziario”, ossia (e diversamente) da un atto normativo sottostante alla Costituzione.
Ho citato testualmente fin qui la Costituzione (su questi punti non toccata) e ricordo anche che tre su quattro delle innovazioni oggi previste furono approvate all’unanimità dalla relazione finale della commissione D’Alema, dopo che la sottocommissione delle garanzie (presieduta da Boato) le aveva predisposte. Poi il Parlamento non approvò gli atti, ma lì si era raggiunta condivisione fra tutte le forze politiche che la componevano.
La separazione delle carriere, poi ― più coerente col rito accusatorio anche se ad esso non indispensabile, come ha due volte scritto la Corte Costituzionale ― è sostenuta da molti avvocati penalisti anche di sinistra ed era oggetto di un ddl presentato da Giuliano Pisapia, (presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, dove era stato eletto come indipendente nella lista di Rifondazione Comunista). Come si vede, tutti uomini di destra (attento, lettore: qui sono ironico).
Assicuro infine che conosco magistrati “di base”, per così dire, iscritti all’ANM per qualche minimo vantaggio professionale, ma stufi del peso correntizio (ossia di dovere in concreto fare i procacciatori di voti per questo o quel notabile), che vedono di buon occhio anche il sorteggio per il CSM, che certo va regolato con la legge di attuazione per essere effettuato unicamente fra chi, magari (questa la mia proposta in una sede scientifica), abbia dato prova di attitudine ad amministrare le carriere dei colleghi ― che non è capacità e volontà di tutti ― in un Consiglio giudiziario.
Al fondo, occorre ritornare a un Consiglio Superiore della Magistratura organo tecnico (per me un’amministrazione indipendente, che vigila su valori costituzionalmente importanti, non diversamente di quanto fanno il Garante della Privacy, l’Anac, il Garante dei diritti dei minori o dei detenuti e altri) e non para-parlamentino di una corporazione.
Segue da quanto ho scritto il mio prossimo voto a favore della riforma, anche se ad essa mancano la limitazione dell’azione penale (112) secondo criteri di priorità (le circolari che a Torino li introdussero, poi imitate da altre procure, furono firmate dal compianto Vladimiro Zagrebelsky, altro uomo di sinistra) ed eventualmente appunto all’estromissione della pubblica accusa dall'ordine giudiziario (l’attuale 107 è invece su questo aspetto confermato, la questione è ancora divisiva), ma nel complesso si è di fronte a un primo passo di innovazione tecnico-culturale di significato più liberale.
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