A cura della Redazione

Pizzo di Natale a commercianti, imprenditori, agenzie funebri e addirittura ai narcotrafficanti: tutti condannati gli esattori del clan Gionta. In otto erano finiti a processo con le accuse, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, estorsione e detenzione e porto illecito di armi, tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose. 

E sono stati tutti condannati. Il capo Pietro Izzo, 41 anni, alias “Pietro 'a fetamma”, ha incassato in abbreviato la condanna a 20 anni di reclusione. Antonio Palumbo, 35 anni, figlio di Angelo “pizzicanterra”, a 4 anni e mezzo; Pasquale Teano, 49 anni, uno dei tre ancora a piede libero al momento del blitz del gennaio 2017, è stato condannato a 4 anni e 5 mesi; Salvatore Buonocore, 21 anni, all'epoca unico ai domiciliari a Torre del Greco, è stato condannato a 8 anni e 2 mesi; stessa pena per Salvatore Bevilacqua, 35 anni; erano già detenuti nel carcere di Secondigliano. Giovanni Gallo, 36 anni, condannato a 15 anni di reclusione; Salvatore Teano, 47 anni, e altri 7 anni e 4 mesi di condanna; Gaetano Acampora, 50 anni, e 8 anni di pena da scontare.

L’indagine ha documentato le attività del clan Gionta, in particolare nel traffico di droga e nelle estorsioni, e la presenza di una vasta rete di affiliati. Le investigazioni, condotte dai carabinieri e coordinate dalla Dda partenopea, sono partite nel febbraio 2015 a seguito del tentato omicidio di Giuseppe Leo: è stata ricostruita la dinamica dell’agguato, e come verso il pregiudicato vennero esplosi diversi colpi d’arma da fuoco, uno dei quali lo colpì alla testa. Leo si era ribellato al pagamento di una tangente richiesta quale regalo di Natale per i carcerati e il suo omicidio doveva rappresentare un monito, per tutti, a non disobbedire al clan rifiutandosi di pagare l’estorsione.

Izzo, secondo gli inquirenti, era desideroso di scalare i vertici del clan Gionta, ed era considerato il capo di questa costola del sodalizio criminale. Per scalare la gerarchia, era stato l'esecutore materiale del tentato omicidio di Leo ed era stato “investito” del ruolo di referente del giro delle estorsioni per conto del sodalizio a Torre Annunziata. Dopo quell'agguato, infatti, Pietro 'a fetamma era stato messo a capo della frangia che gestiva estorsioni e traffico di droga, riforniva le piazze di spaccio e pretendeva il pagamento di una quota fissa dai pusher. Era lui a mantenere le famiglie dei carcerati e a gestire anche una parte della cassa del clan Gionta.

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