A cura della Redazione

Truffe ad anziani, a Napoli il "centralino" da cui partivano le telefonate alle vittime per mettere in atto i raggiri.

Nelle prime ore di questa mattina, al termine di una complessa indagine, coordinata dalla Procura di Roma e condotta dai poliziotti della Squadra Mobile romana e del Commissariato Viminale, insieme agli agenti II Gruppo Parioli della Polizia Locale di Roma Capitale, con l’ausilio della Squadra Mobile e della Polizia Locale di Napoli, è stata data esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 11 persone. Nei loro confronti è stato disposto anche il sequestro di 65.000 euro in contanti e numerosi gioielli in oro, probabile provento delle truffe realizzate in questi mesi.

Gli indagati, con gravi precedenti per reati contro il patrimonio e la persona, in taluni casi inseriti in contesti di criminalità organizzata, sono gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di estorsione, di truffa aggravata ai danni di persone anziane ed in stato di minorata difesa, di furto aggravato, di utilizzo fraudolento di carte di credito (sottratte alla vittime), sostituzione di persona, nonché di porto illegale di più armi da fuoco, fucili e pistole.

Sono stati ricostruiti ben 68 episodi avvenuti sul territorio nazionale posti in essere ai danni delle povere e vulnerabili vittime, con il conseguimento di ingenti profitti, costituiti da danaro e da oggetti di valore degli anziani custoditi nelle case.

I reati contestati sono aggravati dalla circostanza di essere stati compiuti nei confronti di soggetti deboli e vulnerabili, in condizioni di minorata difesa, in avanzata età ed affetti da gravi patologie mentali e fisiche.

Le indagini, scaturite da una serie di denunce di truffe consumate nella Capitale nel dicembre 2021 fino al settembre 2022, perpetrate sempre con lo stesso stratagemma di presentarsi falsamente alla anziana vittima come avvocato o appartenente all’Arma dei Carabinieri, prospettando un imminente pericolo o grave danno per un familiare, e la conseguente necessità di consegnare denaro e preziosi per "evitare" conseguenze drammatiche (come finti arresti), hanno permesso di ricostruire la composizione della associazione a delinquere, operante su tutto il territorio nazionale e, in particolare, a Roma, con base nel centro storico di Napoli, dove era collocato il “centralino” da cui partivano le telefonate e dove confluivano i proventi delle truffe ed estorsioni perpetrate. Sul posto si recavano poi gli esecutori materiali delle truffe, che rimanevano però in costante contatto con i complici presenti a Napoli, da cui ricevevano ordini e direttive.

L’organizzazione era capeggiata da due uomini appartenenti ad una famiglia abitante nella zona dei Tribunali e di Largo Donnaregina, nel centro storico del capoluogo campano.

Il promotore ed organizzatore dell’associazione, un 47enne, elaborava i “piani” criminali, indottrinava i sodali sul modus operandi, individuava le vittime e riceveva e suddivideva tra gli associati i proventi dei reati. 

L’altro capo, di 37 anni, procacciava i “citofoni”, ovvero i telefoni cellulari con intestazioni fittizie usati solo e soltanto per commettere la singola truffa e poi gettati, ma rinvenuti e successivamente analizzati dalla polizia giudiziaria.

Entrambi erano affiancati nell'organizzazione da due donne.

Una, 53enne, si occupava del reclutamento degli “esattori” ed operava nella sua abitazione, sita nei “bassi” di Largo Donnaregina in Napoli, dove venivano svolte alcune riunioni operative e da dove partivano molte delle telefonate alle vittime. La donna era anche la custode della maggior parte dei soldi e delle utilità dell’organizzazione criminale, provento dei delitti, ed aiutava i capi del gruppo criminale nella gestione e nel reclutamento dei sodali.

L’altra indagata, di 57 anni, oltre ad aiutare i sopra citati anche nel custodire i soldi, aveva il compito di proteggere i sodali e, in caso di arresti e denunce, di procurare i difensori da nominare.

Le due donne svolgevano anche il ruolo di telefoniste con il preciso compito di contattare le vittime, fingendosi talvolta come “Carabiniere e/o Avvocato”, a cui rappresentavano falsamente il coinvolgimento in problemi di giustizia o di polizia di un familiare (generalmente figlio o nipote). Altre volte, invece, gli altri indagati coinvolti nell'inchiesta simulavano proprio di essere i congiunti.

Infine gli altri indagati, quali materiali “riscossori o esattori”, dopo aver ricevuto l’input da Napoli, si recavano presso le abitazioni delle vittime dove asportavano tutto il denaro o preziosi, ovvero tutti i risparmi di “una vita” dei malcapitati anziani.