A cura della Redazione
E’ morto Filippo Alison, architetto designer professore universitario, nato a Torre Annunziata con poco lontane ascendenze scozzesi. E’ stato uno dei torresi più illustri del suo tempo, tracce del suo genio sono ancora presenti nel nostro territorio. TorreSette gli dedicò un ampio spazio in occasione di una mostra che racchiudeva tutta la sua opera. Riproponiamo quel servizio, modificando solo la conclusione; chiudiamo con una proposta: onoriamo la sua memoria, dopo averne trascurato la vita. Chi sa quante volte ci sarete passati accanto: via Gino Alfani, subito dopo il Parco della Dalmine, andando verso via Caravelli. C’è un palazzo di quattro piani con una vista splendida sul Golfo: non un palazzo qualunque, ma un’opera di architettura, firmata da un grande torrese, Filippo Alison. Fu una scommessa (vinta): realizzare una costruzione in un triangolino di terreno sopravvissuto ad altre lottizzazioni. Perfettamente integrata nel paesaggio, esempio colpevolmente mai seguito, ecco il Palazzetto Grigio costruito e abitato dagli Staiano: è etichettato con questo nome nell’archivio dei lavori di Alison racchiuso ora in uno splendido libro-collezione arricchito dei contributi di quanti hanno lavorato o solo conosciuto bene il Professore della facoltà napoletana di Architettura. La disegnò negli anni Sessanta, periodo irripetibile di grandi contraddizioni; da un lato una generazione di giovani entusiasti che sognava un futuro straordinariamente moderno, dall’altro chi dalla guerra era uscito con una voglia di far soldi che ripagasse della fame patita. Esigenze che diventavano  inconciliabili quando c’era da mettere insieme mattoni, calce e cemento armato. Chi abbia vinto quella battaglia (a Torre e non solo) è sotto gli occhi di tutti: grattacieli quasi a strapiombo sul mare, aggressione selvaggia a un territorio angusto, scelta di assecondare l’abusivismo e non di combatterlo come un male che avrebbe bloccato lo sviluppo anziché favorirlo. Agli architetti, e Filippo Alison tra tutti era (e lo sarà sempre) il geniaccio, l’idea di arrendersi non è mai venuta, anche se a loro è toccata la parte di don Chisciotte. I mulini a vento del Professore erano pure qui a Torre, nella sua città: avrebbero potuto fargli ridisegnare una delle tante piazze, quella antistante la Basilica della Madonna della neve, per esempio. Da lì è partita la nostra storia di comunità cittadina, sarebbe stata l’ideale cartolina di una nuova era. Invece, niente. Solo una scuola, la media Parini, e la mano si vede tutta, nonostante i segni del tempo e dell’incuria. Uno dei marchi commerciali più noti, Gemme, è stato ideato dalla sua mano e dalla sua fantastica testa. Come prima L’Aurora dei Bimbi, la fabbrica di abiti per ragazzini di cui il negozio della famiglia Di Mauro raccolse l’eredità. Riassumeva, quell’edificio sistemato nella parte di Trecase di Via Vesuvio, l’idea di impresa familiare, concetto che a Torre è sempre stato abbinato soprattutto all’epoca d’oro dei pastifici. Che talento, Alison. Con lui un’aristocratica bottega da fiorista (Pinto, corso Umberto I, quasi angolo via dei Mille) diventa salotto e il logo un’opera moderna di grafica; con lui le Case Rosse si trasformano in tentazione per abbandonare il mare e avvicinarsi al Vesuvio. Non tocca a me tessere l’elogio dell’architetto, del designer, del maestro di grafica, del fine disegnatore e del tenue pittore basta leggere il libro a lui dedicato (“Filippo Alison/Un viaggio tra le forme”, edizioni Skira) per godere delle testimonianze di amici importanti e collaboratori storici. C’è una presenza torrese quasi clandestina: una lettera di Mario Lettieri, su carta intestata della mitica Libreria n°1. Viene attribuita a un altro Mario, Marenco, architetto divenuto poi personaggio televisivo grazie ad Arbore. Lo stile, inconfondibile per chi ha conosciuto Mario, e il riferimento alla “vaga Rosalia” sono indizi decisivi per l’identificazione dell’autore. I racconti arrivano da tutto il mondo, perché Alison appartiene al mondo. Affascinante la storia della sua ammirazione per Mackintosh, omaggio alle proprie origini scozzesi: con un ebanista torrese, Domenico Guida, dette esecuzione a molti disegni del geniale interprete dell’Art nouveau. Viscerale il suo amore per il paesaggio marino che irrompe sempre nelle case che progetta. Portare a Torre la mostra che si accompagna al libro sarebbe – ora che il Professore non c’è più – sarebbe il miglior modo per ricordarlo. Il miglior modo per chiedere scusa da chi lo ha a lungo ignorato. MASSIMO CORCIONE