A cura della Redazione

A Torre Annunziata, nel golfo di Napoli, il pallone arrivò dal mare. Lo portarono i marinai inglesi della nave “Canopic” della “Cunard Line”. Con la sfera di cuoio cucita a mano i marinai giocavano sugli spiazzi del porto torrese facendo proseliti fra i ragazzi della città. Era già successo a Genova e sarebbe successo a Napoli. Così nasceva il calcio in Italia.

Il Savoia nacque nello stesso anno dell’Inter (1908). Erano già nati il Genoa, l’Udinese, la Juventus, il Milan, la Lazio, il Verona, il Torino, il Venezia, l’Atalanta. La squadra torrese si avventurò nelle prime sfide amichevoli affrontando gli equipaggi delle navi inglesi, la Juve Stabia, nata un anno prima, le squadre di Napoli. Scorrono i nomi dei pionieri del calcio a Torre Annunziata: Michele Di Paola, Andrea Bonifacio, Renato Zurlo, Mario De Gennaro, Salvatore Jovine, Luciano Saporito, Italo Moretti, Gennaro Fiore, Luciano Saporito, Michele Zinno, Leonida Bertone capeggiati da don Ciccio De Nicola, l’animatore dello sport torrese.

Le antiche origini, al Campo Oncino, furono subito nobilitate da un secondo posto nella prima divisione della Lega Sud (1921-22): era la serie A dei primi tempi, frammentata in gironi geografici, fra nord e sud, con una finalissima nazionale per lo scudetto. Salì immediatamente alla ribalta la squadra torrese, rafforzata dagli operai vercellesi che lavoravano allo Spolettificio della città.

Il Savoia restò fulminato da una gloria improvvisa. Nella stagione 1923-24 fu la squadra che dominò il campionato di prima divisione della Lega Sud: 10 partite, 9 vittorie, 1 pareggio, 21 gol, difesa ferrea (due reti). Si proiettò nelle semifinali meridionali. Vinse il suo girone davanti a Lazio, Ideale Bari e Anconitana. Si aggiudicò la finale della Lega Sud, eliminando l’Alba Roma in tre partite. Si qualificò per la finale nazionale contro il Genoa, otto volte campione d’Italia dal 1898 al 1923. Una cavalcata, come scrissero i giornali.

Stampati a lettere d’oro i nomi dei giocatori che affrontarono lo squadrone ligure: Visciano, Nebbia, Lobianco, Cassese, Caia, Borghetto, Maltagliati, Mombelli, Bobbio, Ghisi, Orsini. Duecento tifosi torresi raggiunsero Genova per la partita d’andata della finale-scudetto. Era il 31 agosto 1924. Il Genoa schierava sette nazionali. Celebre il portiere De Prà, genovese, spericolato nelle uscite, vero leader della difesa. Renzo De Vecchi, milanese, era il formidabile terzino destro, detto “il figlio di Dio” perché come giocava lui si giocava in Paradiso (così  dicevano i tifosi). Al centro della mediana Luigi Burlando, genovese, detto “moto perpetuo”, polmoni inesauribili, forte di testa e, di testa, una volta segnò da quaranta metri.

Benché bloccato dall’emozione e condizionato dal grande prestigio dell’avversario, il Savoia giocò una buona partita. Giulio Bobbio segnò un gol accorciando le distanze, poi il Genoa vinse 3-1. I torresi giocarono tutto il secondo tempo con il biondo Cassese, infortunato, all’ala sinistra.

La gara di ritorno a Torre Annunziata, il 7 settembre, fu un avvenimento per la città. La squadra genovese arrivò da Napoli col trenino della Circumvesuviana. Raggiunse il municipio in carrozzella, un corteo trionfale di carrozzelle, e fu ricevuta dal sindaco Francesco Gallo de’ Tommasi. Ai giocatori liguri vennero offerti in dono pacchi della celebre pasta di Torre Annunziata. Una salva di 21 colpi di mortaretti salutò le squadre al Campo Oncino, in aperta campagna, col golfo di Napoli sullo sfondo, schierate nelle stesse formazioni dell’andata.

Il Genoa andò in vantaggio. Mombelli siglò il pareggio battendo De Prà con un violento rasoterra a conclusione di una veloce azione fra Ghisi e Bobbio. Per il Genoa fu il nono e ultimo scudetto. Il Savoia fu vicecampione d’Italia in una giornata indimenticabile. Il presidente era Teodoro Voiello, capostipite di una dinastia di pastai.

Il traguardo storico ma incompiuto fu un colpo che pesò sul destino del Savoia. Issatasi al settimo cielo, la squadra precipitò dopo la finale perduta. L’anno dopo fallì la qualificazione interregionale e fu l’inizio del declino. Troppo presto vicino al sole, l’ambiente torrese ne restò bruciato.

Cominciò così una storia che si è più volte ripetuta con grandi ascese e discese troppo poco ardite.

MIMMO CARRATELLI

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