A cura della Redazione
Siamo alle solite. Ancora una volta la vergogna del degrado culturale colpisce senza ritegno alcuno la nostra città. A ricadere nel mirino dei media è nuovamente la meravigliosa Villa "A" di Oplontis, conosciuta come la Villa di Poppea Sabina. Il nostro patrimonio archeologico, invidia per il mondo intero, fiore all´occhiello di un Paese sempre più distratto dalla crisi, subisce anch´esso, giorno dopo giorno, gli effetti del degrado sociale ed economico in cui versa il nostro territorio, e dei quel menefreghismo delle Istituzioni nei confronti di un tesoro di inestimabile valore, che da solo potrebbe rappresentare il motore dell´economia locale. Nell´articolo del 30 agosto 2012, a firma di Raffaele Schettino, pubblicato nella sezione napoletana del quotidiano la Repubblica, è annotato nuovamente lo stato di degrado in cui versano una parte dei particolarissimi affreschi dell´edificio e i preziosi mosaici che decorano quasi la totalità dei suoi ambienti. L´abbandono a se stesso, senza che nessuno si preoccupi di salvaguardare, ma anche tamponare temporaneamente il degrado che avanza, in attesa di tempi migliori per gli interventi necessari al ripristino dello stato dei luoghi, deve far riflettere non poco sul silenzio che cela l´incuria. E il silenzio diviene ancor più dannoso quando proviene non solo gli Enti competenti della gestione del nostro patrimonio archeologico. Esso è reso ancor più "assordante" dalle istituzioni locali, le quali non attuano nessuna politica che possa tirare in ballo e mettere al centro del "calderone" l´interesse del sito culturale per la rinascita locale. Oplontis non è Pompei. Oplontis è unica come lo è per altro la stessa città romana poco distante. Far morire Oplontis è come ricelare per sempre il nostro territorio, facendolo ricadere nell´imbarbarimento, nuovamente nel buio del ventre della terra. VINCENZO MARASCO